Il passato ha una data di scadenza?

Georgi Gospodinov, Cronorifugio, (romanzo). La Recensione di Moreno Macchi

Moreno Macchi

«Assomigliava a un uomo arrivato in treno da un altro decennio, poteva essere preso per un anarchico discreto, un hippy invecchiato o un predicatore di qualche chiesa poco nota»

«È strano, mi disse Gaustìn, muoiono sempre gli altri, e noi mai»

«Sono sicuro che esiste un verde svizzero dell’erba, mi stupisco che qualcuno non l’abbia già brevettato»

«Il passato non è solo quello che ti è capitato.
A volte è quello che ti sei solo inventato»

Poche, anzi pochissime le informazioni che si possono trovare sull’autore: nasce in Bulgaria a Jambol nel 1968, si rivela molto presto come poeta innovativo e raffinato, poi come scrittore postmoderno e sperimentale, abile prosatore e studioso di letteratura. È oggi considerato lo scrittore più talentuoso della Bulgaria.

Il suo esordio come romanziere lo compie con Romanzo naturale (1999), subito tradotto in tutto il mondo;pubblica poi Fisica della malinconia (2013), E tutto divenne luna (2018) seguito dall’assai originale Cronorifugio, che è stato insignito del Premio Strega europeo nel 2021,poi del prestigiosissimo International Booker Prize nel 2023.

Oltre ad essere romanziere, Gospodinov è anche autore di racconti brevi e brevissimi come Tutti i nostri corpi. Storie superbrevi (2020); i suoi libri sono pubblicati da Voland e (tranne il primo) tradotti in italiano da Giuseppe dell’Agata.

Un narratore (che solo una volta verso la fine del romanzo si autoproclama G. G. lasciandoci sospettare una possibile – ma assai poco accettabile per un inguaribile strutturalista come noi – identificazione narratore-autore) incontra in diversi momenti della sua vita un tale Gaustìn (personaggio reale? Pura invenzione del narratore? Suo alter-ego? Sarà cosa impossibile da determinare), uomo assai particolare, che sembra essere capace di viaggiare nel tempo, appassionato lettore de La montagna magica di Thomas Mann e di altri noti classici, che ha creato – in una non meglio precisata zona della frenetica Zurigo – la sua prima clinica per malati di Alzheimer, di demenza senile, per persone colpite da amnesia o per chi soffre di altri problemi legati alla memoria.
A dire il vero, un’improbabile ma assai originale clinica, nella quale Gaustìn ricrea in ogni camera un’ambientazione particolare legata a un’epoca o a un’annata, in modo che il residente si senta a suo agio nel momento temporale che più gli si confà o nel quale la sua mente si è fermata.

Quando il narratore (arrivato per caso in zona) incontra Gaustìn e con lui visita la clinica, si introduce in una camera arredata in puro stile anni ’60, e lì riconosce l’appendiabiti ricoperto da un tessuto a rombi uguale uguale a quello che c’era in casa sua, l’inevitabile gigantografia a parete (in quegli anni ne esisteva una vastissima scelta: raggi di sole attraverso i rami della foresta tropicale, spiaggia dorata dei Caraibi con indispensabili palme, cime alpine innevate con opzionale tramonto rosso-arancione…), il poster dei Beatles, i due letti artisticamente disposti ad angolo retto ricoperti da rigorosa coperta giallo-ocra pelosa (e ovviamente 100% sintetica), sulla quale non esita a sdraiarsi completamente vestito e con tanto di scarpe, le riviste e i colorati settimanali (che ancora non venivano chiamati di gossip o people) appena appena sfogliati ma certificati d’epoca, le celeberrime sigarette Pall Mall dal gusto acre e dal denso fumo che si arrotola nel flebile fascio di luce diffuso dall’abat-jour (anch’essa giallo-ocra) di una lampada da tavolo …

E improvvisamente in quella stanza, non capiamo bene come, ci siamo anche noi, coi nostri ricordi personali e circondati dai nostri oggetti: un posacenere, un giornale, un album di fotografie in bianco e nero, un paio di occhiali dalla montatura di finta tartaruga.

Poi un attimo dopo siamo catapultati negli anni bui della Seconda guerra mondiale e dalla radio accesa sulla mensola escono le stridule o un po’ gracchianti voci provenienti da Londra, da Parigi, da Milano che si mescolano ai ricordi e alle parole di un’anziana signora bulgara appena uscita viva e vegeta da un rifugio sotterraneo dove era stata trascinata dalla madre per evitare le bombe sganciate dagli aerei nemici.

Gaustìn però ancora non sa se la sua clinica del tempo potrà dare la felicità o almeno un passeggero sollievo, una fulminea gioia a quelli che per una ragione o per un’altra hanno perso la memoria o magari perfino guarirli, però chiede all’attonito narratore di aiutarlo a perfezionare la sua opera diventando «raccoglitore del passato».

Il suo compito consisterà quindi nel cercare (e soprattutto nel trovare!) storie, oggetti, profumi, colori, quali erano le notizie importanti e quali le leggende metropolitane, le canzoni in testa alle classifiche delle vendite, che tempo faceva quel tal giorno, che pettinatura andava di moda, se usavano le scarpe con la punta quadrata, tonda o (appunto) appuntita e quanto, e perfino l’odore dei saponi allora più in voga, la lunghezza delle gonne, la larghezza delle cravatte.

Ma cosa fare con chi – paradossalmente – ricorda solo quello che non gli è capitato? Mission impossible?

E cosa succederebbe se un giorno gli europei decidessero, con un bel referendum democratico, di ritornare tutti nel passato? Ma in quale passato?

Noi concluderemo citando ancora Gospodinov: «comunque non esiste una macchina del tempo che non sia l’uomo».

Georgi Gospodinov,
Cronorifugio (romanzo),
Voland,
Collana Sírin

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