Il valore della manodopera italiana in Svizzera

Alfredo Zardini nacque a Cortina d’Ampezzo nel 1931, imparò il mestiere di falegname, si sposò e diventò padre di un bambino. Era un veneto, un uomo del Nord insomma, che era cresciuto in un dopoguerra dove dalla penisola italiana riprendevano i viaggi, anche oltre confine, per poter lavorare. Zardini trovò, come tanti italiani, anche settentrionali, un’opportunità di lavoro come carpentiere a Zurigo, pur non sapendo il tedesco. 

La Svizzera, infatti, era meta di migrazione dal continente, al punto che già nel 1948 la Confederazione aveva siglato un accordo di assunzione di manodopera straniera (della quale aveva un estremo bisogno e che avrebbe cambiato per sempre la storia del Paese), diventando uno dei primi Stati a dotarsi di una legislazione riguardante il fenomeno migratorio. E furono proprio gli italiani – oggi possiamo dirlo con una certa dose di fierezza – a dare il contributo più alto nella costruzione economica elvetica. 

Oggi è riconosciuta la centralità della manodopera italiana in Svizzera nel Secondo dopoguerra.

Il principale fornitore di donne e uomini che giungevano in Svizzera nel dopoguerra era infatti l’Italia, uno Stato appena uscito da una guerra devastante con le ossa rotte, tanti debiti e molta precarietà. Dopotutto era un Paese giovane, dove l’età media era sotto i 30 anni, le famiglie numerose e già da alcuni anni erano ricominciate le migrazioni verso le Americhe, l’Australia e altri Paesi europei occidentali.

La Svizzera ospitava in quegli anni 1.100.000 lavoratori stranieri, di cui 560mila italiani, spesso vittime di pregiudizi e gravi discriminazioni linguistiche e culturali. Si facevano strada le idee xenofobe di cittadini e politici che temevano l’“inforestierimento” della Svizzera e che trovarono il massimo portavoce nella figura di estrema destra di James Schwarzenbach, esponente dell’Azione Nazionale, il quale promosse un’iniziativa popolare volta a fissare a un tetto massimo del 10% la popolazione straniera. Il suo referendum del 7 giugno 1970 vide però la vittoria dei contrari con il 54% dei voti. I favorevoli, secondo cui i numerosi immigrati per motivi di lavoro faticavano a integrarsi, sottolineavano un bisogno di difendere l’identità e il benessere svizzero. Per i contrari, invece, rinunciare alla manodopera straniera in così larga scala avrebbe creato grossi problemi in molti settori economici. La votazione toccò da vicino il Canton Ticino, in cui all’epoca dimoravano quasi 50mila lavoratori stranieri. 

Con questo clima, Zardini era emigrato oltralpe, lasciando la propria famiglia a Cortina, per costruire un futuro migliore per loro. Il 20 marzo 1971, Zardini uscì di casa per un appuntamento col suo futuro datore di lavoro, si fermò per un caffè al ‘Frau Stirnimaa’ sulla Langsstrasse, uno dei pochi locali aperti al mattino presto, e qui incontrò per caso Gerhard Schwitzgebel, già schedato dalla polizia locale come un poderoso fanatico di Azione Nazionale. Fra i due scoppiò una discussione, Gerhard, ubriaco, aggredì Zardini e lo picchiò a morte, con calci sul viso e sull’addome, tra l’indifferenza degli avventori. Solo due giorni dopo la stampa svizzera riportò la notizia, tenendo comunque a sottolineare che il tragico evento non avesse nulla a che fare con la xenofobia. La maggior parte dei quotidiani, piuttosto che deplorare l’agghiacciante cinismo con il quale la vittima era stata abbandonata su un marciapiede e lasciata morire senza soccorso, ritenne opportuno stigmatizzare il comportamento dei suoi numerosi connazionali che, per protesta, non si erano recati al lavoro il lunedì successivo ai fatti. La municipalità svizzera si limitò a chiudere la vicenda rimborsando le spese di rimpatrio della salma. Grazie alle testimonianze reticenti del titolare del bar e degli altri avventori, Schwitzgebel scontò nel 1974 una reclusione di soli diciotto mesi per “eccesso colposo di legittima difesa”. In Italia vennero sollevate alcune interrogazioni parlamentari che comunque non servirono a distendere le controversie e a ottenere una condanna esemplare per il colpevole. 

Alfredo Zardini divenne una delle tante vittime del razzismo anti-italiano. Ad Alfredo Zardini fu dedicata una ballata dal cantastorie Franco Trincale nel 1979.

A cinquant’anni da quel fatidico referendum sull’immigrazione, i contadini delle Alpi svizzere stanno soffrendo per la mancanza di manodopera proveniente dall’Unione Europea dovuta alla chiusura delle frontiere – come suggerisce il giornale ‘Grigione italiano’, Questa è una piccola parte del fabbisogno lavorativo estero, ma in altri settori come l’industria, le medie e piccole imprese, nonché il fabbisogno ospedaliero e di assistenza, hanno molta più necessità di fare affidamento sui lavoratori esteri. Non si può non tenere in considerazione quale prezzo abbia un benessere economico ottenuto a scapito di una o più categorie sociali, o grazie a motti come “Prima gli svizzeri” o “Prima gli italiani”.

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