Punto Franco: all’Archivio del Moderno, la valorizzazione del territorio ticinese nel contesto internazionale

Da qualche mese, presso il Punto Franco di Balerna-Chiasso, edificio dell’ingegnere Maillard, poco distante dal confine con l’Italia, in un luogo di transito e scambio, ha sede l’Archivio del Moderno. Divenuto dal 2004 una Fondazione che conta 56 archivi, l’Archivio del Moderno nacque nel 1996 come istituto dell’Accademia di architettura dell’Università della Svizzera italiana. La sua inaugurazione, due anni dopo, fu celebrata con una bella mostra dedicata agli archivi di architettura presenti sul territorio ticinese. La territorialità con sguardo internazionale continua ad essere centrale nelle attività dell’archivio.

Professoressa Letizia Tedeschi, direttore dell’Archivio del Moderno, partiamo dalla scelta della vostra nuova sede: in che modo il luogo in cui vi trovate è rappresentativo degli obiettivi e della filosofia dell’Archivio?

Una delle nostre peculiarità di ricerca riguarda lo studio e la valorizzazione storico-critica del ruolo delle maestranze ticinesi nella storia dell’architettura europea. Dalla fine del 700 e inizio dell’800, i maestri e architetti ticinesi hanno migrato, lavorando in Russia e nell’Est europeo, in Italia e in Francia, in Baviera, in Svezia. Occupandoci del loro lavoro, non possiamo non toccare il tema del confine-limite e del dialogo e scambi tra le frontiere. In questo senso, la nostra nuova sede presso il Punto Franco non è solo uno spazio significativo dal punto di vista architettonico; in quanto spazio di scambi e confine, si richiama alle migrazioni delle maestranze ticinesi in tutta Europa.

Ci fa qualche esempio del lavoro delle maestranze ticinesi in Europa?

Fin dagli albori della Modernità, dunque dall’illuminismo, alla fine del 700, i ticinesi hanno lavorato a grandi progetti del mondo umanistico e dell’ex-Unione Sovietica. Pietroburgo e Mosca, per fare un esempio, portano, evidente, il segno degli architetti ticinesi. Mosca fu ridisegnata da Domenico Gilardi, che proveniva originariamente da Montagnola. Domenico Trezzini, un altro ticinese, fece il primo piano regolatore di Pietroburgo. Se volgiamo lo sguardo a Sud, ecco che troviamo Luigi Canonica, il primo architetto della Milano moderna, della Milano napoleonica. A Roma Carlo Fontana fu costruttore del Palazzo Lateranense) alla fine del 500, ed è oggi riconosciuto quale padre degli architetti moderni in virtù del suo fare impresa.

Migrazione e spirito d’impresa sono dunque caratteri proprio della maestranza ticinese di fine ‘700 e inizio ‘800. Possiamo parlare di un loro contributo alla costituzione di una koinè europea?

Gli architetti e i maestri ticinesi erano eccellenti per quel che riguarda la capacità di costruire e la loro grandezza, in epoca pre-moderna, fu proprio la creazione dell’impresa. Buona parte del patrimonio costruttivo europeo fu il lavoro proprio delle maestranze ticinesi. In questo senso, a mio avviso, i ticinesi furono un fenomeno costitutivo dell’Europa. Viaggiando, le maestranze ticinesi hanno fatto da transfert culturale. Sono stati vettori di linguaggi artistici. Naturalmente nella creazione del linguaggio comune, i ticinesi sono partiti dal locale, che era infuso di italianità. Ecco allora che occuparsi dei maestri del Ticino vuol dire, necessariamente, occuparsi di cultura italiana.

Quali progetti avete realizzato negli ultimi anni, studiando l’architettura ticinese e i lavori delle maestranze in Europa?

Senza fare noiosi elenchi, posso ricordare un grande progetto di ricerca, avviato già nel 1998 con la Russia per studiare l’impatto e il ruolo del Ticino sulla cultura architettonica russa, da Caterina II ad Alessandro I. Attualmente abbiamo avviato un grande progetto su Milano e il Ticino e la spazialità di una capitale europea (Milano), partendo proprio dall’archivio di Luigi Canonica, che noi conserviamo. Oggi vantiamo diverse collaborazioni europee. Con l’Università la Sorbone di Parigi collaboriamo ad uno studio su Canonica nella Milano napoleonica.

L’immagine che ne esce è quella di un Archivio che è un bacino attivo di idee, non una scatola chiusa in cui sono raccolti documenti, e ben ancorato nel territorio ticinese.

L’acquisizione e la conservazione degli archivi di architetti, urbanisti, fotografi, design, grafica, non sono la semplice preservazione di un thesaurus eterogeneo e di gran valore. Gli archivi servono proprio come punto di partenza per le nostre ricerche. Fondamentale per noi è la valorizzazione e lo studio degli archivi e quindi la ricerca a partire da documenti dell’archivio che noi possediamo è centrale tra le nostre attività. Essendo naturalmente molti archivi che noi custodiamo di architetti e maestri ticinesi, il legame con il territorio si fa molto forte. Direi che l’archivio del moderno è stato pensato proprio in funzione del territorio locale e quindi di quello che può dare questo territorio. Ad esempio, abbiamo lavorato con vari enti del territorio. Penso al Masi e vari i comuni. Assieme al Comune di Melide abbiamo organizzato un evento per festeggiare i 500 anni del maestro Fontana; con il comune di Ascona abbiamo studiato l’archivio di Weidemeir e poi fatto una mostra.

Dal 2004, l’archivio è divenuto una Fondazione. Perché e con quali obiettivi?

La Fondazione è titolare e garante della custodia e valorizzazione degli archivi. Come istituzione no-profit ha il compito di raccogliere e conservare ma anche promuovere ricerche storiche, pubblicazioni e cura di collane editoriali e collaborazioni con altri istituti di ricerca.

Come si è costituito e costituisce oggi il ‘contenuto’ dei vostri archivi?

Gli archivi sono donati alla Fondazione, non acquisiti. Questo è atto valoriale. La Fondazione si ‘conquista’ gli archivi con il proprio lavoro. Chi dona il proprio archivio è perché crede nella nostra attività. E’ un gesto di fiducia, che ci permette tra l’altro di essere un laboratorio. Esiste un rapporto molto forte, osmotico e sempre vivo, con i donatori o i loro familiari.

Tornando all’Archivio del Moderno, quali progetti a breve termine?

La sfida, sempre attuale, è la ricerca di nuove risorse per il futuro (vicino e lontano) della nostra istituzione, per valorizzarne il ruolo internazionale. Recentemente, abbiamo acquisito archivi di architetti italiani come Marco Zanuso e Luigi Moretti. Questo fatto non ci ha portati a lavorare in Italia, ad esempio, alla mostra d’inaugurazione del Maxxi, frutto appunto di una nostra ricerca su Moretti e anche a firmare una Convenzione di collaborazione firmata nel 2002 con il Ministero dei Beni Culturali di Roma. Per rispettare questa Convenzione, siamo in procinto di aprire una sede del nostro Archivio a Varese.

 

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Letizia Tedeschi, storica dell’arte, è direttore dell’Archivio del Moderno dell’Accademia di architettura dell’Università della Svizzera italiana dal 1996 Ha fondato quest’Istituto definendone gli obiettivi, la filosofia e l’attività scientifica. Fa parte del Collegio dei professori del Dottorato di ricerca in Storia dell’Arte dell’Università La Sapienza di Roma. Professore invitato presso l’École Nationale des Chartes di Parigi, l’Università La Sapienza di Roma e l’Université Paris 1 Sorbonne-Panthéon. Ha curato e promosso numerose esposizioni e convegni internazionali di studi ed è autore e curatore di pubblicazioni sull’architettura italiana ed europea dal XVIII al XX secolo. Ha avviato, dal 1998, nuovi studi sulla cultura architettonica italiana in Polonia e in Russia, promuovendo ricerche internazionali e curando esposizioni su queste tematiche

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