Le parole e le foto di Kseniia ed Emre, fuggiti dall’Ucraina. Che cosa resterà?

di Cristina Penco

Foto: Kharkiv durante la guerra. Tutte le foto sono state scattate da Emre Demircan e Kseniia Stepanenko

Kseniia Stepanenko, 25 anni, ucraina, e il suo compagno Emre Demircan, 26 anni, turco, sono due dei circa 900 mila profughi – secondo le prime stime – in fuga dagli scenari apocalittici dell’offensiva russa sferrata contro l’Ucraina il 24 febbraio scorso. Kseniia ed Emre sono sviluppatori di software e lavorano per un’azienda con sede a Genova. Fidanzati da quasi sei anni, si sono conosciuti nell’estate del 2016 nel Wisconsin, negli Stati Uniti. Erano tutti e due là per partecipare a un programma di viaggio e lavoro per studenti universitari.

Emre vive da più di 3 anni nel capoluogo ligure, dove ha affittato un appartamento. Kseniia è nata e cresciuta a Kharkiv (Kharkov in russo), nell’Ucraina orientale, seconda città del Paese dopo la capitale Kiev. La sua famiglia vive lì. Lei è tornata da loro a ottobre per aspettare i documenti dall’ambasciata italiana necessari ad avere il permesso di soggiorno nella Penisola. Nel frattempo ha continuato a lavorare da remoto. Emre è andato a far visita alla sua fidanzata e ai parenti di lei all’inizio di febbraio ed è stato con loro per tre settimane prima dello scoppio della guerra. I due ragazzi erano insieme a Kharkiv, con la famiglia di Kseniia, quando sono cominciati i primi bombardamenti russi. Ora che sono arrivati in Italia dicono: “Abbiamo messo in salvo noi stessi. Ora è tempo di mettere in salvo l’Ucraina. Dobbiamo diffondere e condividere informazioni. I soldati ucraini sacrificano la propria vita per salvare il Paese, sono forti e coraggiosi, ma hanno bisogno del nostro aiuto. Dobbiamo raccontare cosa sta succedendo ai civili. Le persone muoiono ogni singolo minuto“.

Adesso siete a Genova, al sicuro. Siete riusciti a mettervi in contatto con i famigliari di Kseniia?

Kseniia & Emre: «Sono rimasti a Kharkiv, sono nascosti, quindi non possono fornirci troppe informazioni sull’esterno. Ma sentono chiaramente rumori di pistole, cannoni, razzi senza sosta, giorno e notte. Sono in pericolo ogni singolo secondo. Dei missili sono esplosi contro l’edificio di fronte. I soldati russi hanno bombardato le case vicine con delle granate. La finestra della stanza del fratello di Kseniia, 16 anni, è andata in frantumi. Le loro vite potrebbero sparire in un attimo. Basta che qualcuno, in quel momento, esca per fare spesa alimentare e scorta di acqua (al momento di andare in stampa, la famiglia di Kseniia è rimasta senza Internet: comunicare con l’Italia sarà ancora più difficile, ndr)».

La vostra fuga inizia all’alba del 24 febbraio, a Kharkiv.

E: «Ci siamo svegliati alle cinque del mattino, di soprassalto, a causa di forti esplosioni. Abbiamo iniziato a controllare le notizie, ma non c’era ancora alcuna spiegazione. È stato uno shock. Panico. Mani che tremavano. Pianti. Kseniia, tuttavia, all’inizio, era abbastanza ottimista come noi altri, nel senso che pensavamo potesse essere un addestramento militare. Per esempio nella regione del Donbass è in corso una guerra già da 8 anni. Ma circa 10 minuti dopo abbiamo sentito tutto di nuovo. I genitori di Kseniia le hanno detto: “Prendi Emre, è straniero, salvalo da questo posto, vattene immediatamente, esci ORA!”. I nostri bagagli erano in qualche modo pronti, perché avevamo i biglietti per Istanbul per partire lo stesso giorno (ma tutti i voli sono stati cancellati). Kseniia non voleva lasciare la famiglia. Ha pregato i suoi cari, piangendo, di andare via insieme. Ma loro pensavano di potersi preparare e partire più tardi (tuttavia, non è stato possibile). Allora noi due abbiamo comprato i primi biglietti disponibili per l’autobus per Kiev e siamo usciti di casa in lacrime. È stato straziante salutarli e vedere che cosa stava accadendo fuori, in mezzo alle fiamme e ai carri armati russi».

Avevate avuto qualche sentore nei giorni precedenti?

E: «Kseniia aveva parlato a lungo con il fratello minore. Voleva calmarlo, lui era preoccupato e in tensione. Hanno parlato di cosa sarebbe potuto accadere, ma era fiduciosa, non credeva davvero che la guerra sarebbe iniziata. Tra l’altro, il loro popolo, di fatto, è già in guerra da 8 anni (ci spiegano che il riferimento è al novembre del 2013 e alle accese proteste pro-europee “EuroMaidan”, che hanno portato alla rimozione dell’ex presidente filo-russo Viktor Yanukovich, alle elezioni anticipate, alla riadozione della Costituzione del 2004 e, per l’appunto, all’inizio del conflitto odierno, ndr). Però nessuno credeva avrebbero iniziato a uccidere i civili».
K: «Emre aveva una prospettiva diversa, era fuori da tutti questi problemi che andavano avanti già da otto anni. Una settimana prima ci aveva proposto di non correre rischi e di lasciare il Paese. Pensava che se tutto fosse andato bene, saremmo potuti rientrare in Ucraina senza problemi. Alla fine, però, la mia famiglia ha deciso di non partire. Non potevamo lasciarli soli. Inizialmente, prima che cominciassero i bombardamenti, siamo rimasti con loro».

A Kharkov avete preso un pullman e avete raggiunto prima Kyiv, dove stavano cominciando altri attacchi esplosivi, e poi Lviv. Lì, in pochi minuti avete dovuto decidere il da farsi: tornare indietro o cercare di arrivare alla frontiera con la Polonia. Avete scelto questa seconda opzione. Come avete proseguito?

E & K: «Mancavano 20-30 km per raggiungere il confine polacco. Il traffico era terribile. Dopo un’ora eravamo ancora bloccati senza riuscire ad avanzare. A quel punto l’autista si è rifiutato di andare oltre, e ci ha ordinato di scendere immediatamente dal mezzo. Voleva tornare indietro. Da quel frangente in poi, ogni istante è stato più doloroso e spaventoso. Siamo stati costretti a procedere a piedi, al freddo, in una gelida giornata dell’inverno ucraino. Per alleggerire il proprio carico, molti intorno a noi hanno abbandonato alcuni dei loro bagagli lungo la strada. I genitori portavano i loro bambini in braccio e allo stesso tempo cercavano di trascinarsi dietro rifornimenti alimentari e valigie. Il nostro unico obiettivo era raggiungere il confine prima che calasse la notte. Siamo riusciti a comprare qualcosa da mangiare e dell’acqua per affrontare la lunga marcia. Intanto continuavamo a sentire colpi di armi da fuoco ed esplosioni tutt’intorno».

Al tramonto, mentre le temperature iniziavano a scendere ulteriormente, eravate a 3-4 km dalla Polonia. Cos’è successo?

«Abbiamo cominciato a vedere molte persone camminare nella direzione opposta. Una famiglia che tornava indietro dal confine ci ha spiegato che erano rimasti bloccati lì per 22 ore, insieme ad altre migliaia di persone. Ci hanno detto che era impossibile attraversare la frontiera per via della folla che si era creata. Loro non potevano continuare ad aspettare ancora, costringendo i loro figli piccoli a passare la notte al gelo in quelle condizioni. Sarebbero tornati a Lviv e si sarebbero nascosti in un rifugio in prossimità di casa loro. Ci hanno suggerito di trovare un’auto, necessaria sia per attraversare il confine più facilmente e rapidamente, sia per proteggerci dalle temperature proibitive della notte. Così abbiamo deciso di continuare a camminare e nel frattempo chiedere aiuto ai veicoli di passaggio. Poco dopo si è fermata una macchina. Ci siamo accorti che oltre alla donna alla guida, Victoria, c’erano solo due bambini seduti sui sedili posteriori. L’abbiamo pregata di farci salire con loro e lei ha accettato».

L’ultimo chilometro, peraltro, è stato il più difficile.

E & K: «Sì. Un soldato si è avvicinato e ci ha chiesto un lasciapassare per la frontiera, ma noi non lo avevamo. Il militare ci ha risposto che in tal caso nessuno ci avrebbe permesso di attraversare il confine. Infatti abbiamo iniziato a vedere molte auto tornare indietro. Abbiamo notato che al volante c’erano quasi esclusivamente uomini, senza altri passeggeri: evidentemente avevano accompagnato le loro famiglie al confine, mentre loro restavano per combattere. Arrivati agli ultimi 500 metri non eravamo riusciti a parlare né con il consolato turco né con altri servizi di assistenza ucraini. Ci ha risposto, invece, il consolato polacco, che ci ha dato alcune utili indicazioni per affrontare i controlli della polizia di frontiera ucraina».

Dalle scene che abbiamo visto ai telegiornali e sui social alla frontiera la situazione è fuori controllo. La vostra esperienza?

«Si sentivano sirene di ambulanze a tutto spiano. C’erano due incolonnamenti: uno di auto, a cui sembrava venisse data priorità per il passaggio del confine, l’altra di persone. Queste, in preda allo stress e alla disperazione, affamate e assiderate, hanno cominciato a spingersi tra di loro per lo stress e l’angoscia. Qualcuno ha urlato: “Bloccate le auto! Non fatele passare!” e dopo abbiamo sentito un altro grido: “C’è una bomba, c’è una bomba!! Terroristi!! Correte!!” E tutti hanno iniziato a fuggire in ogni direzione. Victoria ha cominciato ad avere attacchi di panico e d’asma. Le sue mani, la sua bocca, le sue gambe erano bloccate. Non si muoveva. Abbiamo cercato velocemente tra tutte le sue medicine, ma nella concitazione di quegli attimi abbiamo perso il suo inalatore per l’asma. Per fortuna siamo riusciti a darle comunque alcuni farmaci. Dopo un po’ di tempo sembrava essersi ripresa. Abbiamo temuto il peggio, per lei e per i suoi bambini. Nel frattempo abbiamo realizzato che non c’era nessun ordigno. Era stato un falso allarme generato dalle persone ormai in preda al panico».

Emre, sei di nazionalità turca. Hai avuto problemi a varcare il confine?

«I gendarmi volevano farmi uscire dalla macchina, affinché aspettassi in piedi, fuori, insieme ad altra gente. Ho colto un atteggiamento apertamente razzista. Noi, comunque, non abbiamo demorso, abbiamo lottato. Ho un regolare permesso di soggiorno italiano. Kseniia ha continuato a spiegare la nostra situazione, implorando di farmi passare insieme a lei, a Victoria e ai bambini. Alla fine, dopo ulteriori controlli, l’abbiamo spuntata. Va detto che i soldati non avevano alternative: in quel momento, con la crisi asmatica di Victoria, il caos che c’era intorno e gli ingorghi che si erano creati, non avremmo neppure potuto fare inversione e tornare indietro».

Il 26 febbraio, all’alba, siete arrivati alla città di Przemysl, dove avete salutato Victoria e i piccoli. Da lì avete preso un pullman per Cracovia per poi volare in Italia, il 28 febbraio.

E & K: «In Polonia abbiamo ripreso fiato e ci siamo tolti di dosso un po’ della paura accumulata in tante ore di viaggio. Abbiamo trovato un incredibile gruppo di supporto ad accogliere i profughi alla stazione del treno. Hanno predisposto cibo, acqua, riscaldamento, stanze e letti per i bambini. I cittadini polacchi cercano di portare le persone alle principali città oltre il confine con i propri mezzi. Ci siamo commossi vedendo tutti questi sforzi per aiutare noi e chi condivide la nostra stessa odissea. Sul fronte italiano, il nostro capo e alcuni dei nostri colleghi sono stati partecipi e utili 24 ore su 24, 7 giorni su 7. Sapevamo che ci sarebbe stato qualcuno ad aspettarci. Stiamo continuando a vedere un grande sostegno in Italia ovunque (nei media, nelle strade, tra le associazioni, nelle chiese…)». 

In quali situazioni avete maggiormente temuto di non farcela?

«Quando abbiamo lasciato Kiev e abbiamo attraversato Leopoli, siamo finiti per un po’ sotto gli attacchi dei cannoni. Ci siamo immediatamente accovacciati lungo il corridoio del pullman e ci siamo coperti schiene e teste con le giacche. Al confine con la Polonia, quando le persone si sono spinte a vicenda e hanno urlato “Bloccate le auto, non farle passare”, “c’è una bomba”, “terrorismo”, abbiamo sentito che erano i nostri ultimi minuti di vita. E poi, naturalmente, abbiamo temuto molto per Victoria, quando è stata male, e per i suoi bambini».

Lavorate nel campo dell’informatica. Come giudicate l’intervento del collettivo di hacker attivisti Anonymous che si è schierato al fianco dell’Ucraina, contro Putin?

E & K: «Viviamo nell’era della tecnologia. Quasi tutte le risorse sono immagazzinate in dispositivi tecnologici. Anonymous ha il potere di raggiungere in profondità le fonti più importanti e segrete dei vari Paesi e può renderle pubbliche in caso di necessità. La maggior parte dei russi non crede a ciò che sta realmente accadendo in Ucraina in questo momento. Ci sono state continue menzogne quotidiane, per anni, da parte di media, pop star, artisti e persino blogger di TikTok. C’è stato un tale lavaggio del cervello che persino i nostri parenti russi pensano che Putin abbia inviato soldati per salvare l’Ucraina dal nazismo. Quelli di Anonymous hanno hackerato le televisioni russe per fermare la diffusione di informazioni false. In questo modo possono raggiungere tutta la nazione e mostrare la realtà e il volto dell’innocenza. Quindi quello che personalmente possiamo dire è che Anonymous ha un grande potere di cambiare le sorti della guerra. Crediamo sia dalla parte dell’innocenza, della libertà, della democrazia».
L’Ente italiano di protezione degli animali (Enpa) si è reso disponibile a fornire accoglienza a quattrozampe, volatili e non solo, da Nord a Sud. Il Ministero della Salute ha autorizzato l’accesso dei profughi ucraini con i loro animali d’affezione, considerati, finalmente, parte integrante dei nuclei familiari. Segni di una nuova percezione e sensibilità.

E & K: «Gli animali domestici fanno assolutamente parte delle famiglie! Mentre eravamo in fuga abbiamo visto persone che trasportavano uccelli, cani, gatti e pesci».

Qual è la vostra opinione su Volodymyr Zelensky? Da comico a presidente dell’Ucraina fino a diventare, in queste ore, un simbolo della resistenza piena di coraggio e dignità del suo popolo.

E: «Kseniia, i suoi amici e tutta la famiglia lo hanno sostenuto nelle elezioni. Vediamo un uomo che difende la libertà e la democrazia della sua attuale nazione e delle prossime generazioni. Ci ha colpito quanto successo giorni fa, quando tutta l’Europa ha iniziato ad applaudire non appena lui ha iniziato a parlare. Il 91% degli ucraini lo sostiene in questo momento. Vorremmo poi esprimere la nostra opinione sul fatto che fosse un comico, cosa che molte persone criticano. Ebbene, cosa c’è che non va? Guardate i leader di molte nazioni. Quale istruzione hanno? Che tipo di discorsi portano avanti? Almeno quando uno è un artista, spesso, sa parlare con il pubblico, con le comunità. Quando ascolto i suoi discorsi, ascolto un uomo che dice la verità e, nella mia opinione, conosce il potere delle parole. Secondo me la politica può essere appresa anche più velocemente di quanto si immagini. L’onestà, invece, è un aspetto del carattere e dovrebbe essere acquisita durante la propria formazione umana».

vetro rotto nella cameretta


Quando Emre, di origine turca, parla della gente ucraina, usa la prima persona plurale: «la nostra famiglia», «il nostro popolo».

Non fa alcuna distinzione. Kseniia non ha mai smesso di rimanere in contatto con Victoria, la madre che letteralmente li ha guidati al di là del confine con la Polonia. La terribile esperienza le ha unite molto. Pensa tanto al fratello più piccolo, che vorrebbe intraprendere la sua stessa professione. Ma oggi le speranze e i sogni del ragazzo, come quelli di tanti altri adolescenti ucraini come lui, sembrano infranti. Proprio come il vetro della finestra nella sua cameretta.

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