Le scuse di Macron per il genocidio del Ruanda

Il rinnovo degli accordi bilaterali

In foto: Emmanuel Macron, credit Jacques Paquier

A distanza di 27 anni, all’interno della cornice del rinnovo degli accordi bilaterali tra i due Paesi, la Francia ha riconosciuto le proprie responsabilità nei confronti del genocidio del Ruanda del 1994.

All’epoca il governo francese appoggiò apertamente il governo a guida hutu di Juvenal Habyarimana contro il Fronte Patriottico Ruandese (RPF) dominato dai tutsi, che dal 1990 era impegnato in un conflitto volto a ripristinare i diritti dei tutsi in seguito a più di quarant’anni di violenze contro di loro. La Francia fornì armi ed addestramento militare alle milizie giovanili di Habyarimana, gli Interahamwe e Impuzamugambi, che erano tra i principali mezzi governativi per perpetrare il genocidio che seguì all’attentato all’aereo presidenziale ruandese del 6 aprile 1994.

Per oltre 100 giorni le Forze Armate Ruandesi (Far), insieme ad altri gruppi paramilitari, uccisero e massacrarono (spesso solo con i machete) oltre 800mila Tutsi in una maniera pianificata e capillare. Uno dei più efferati massacri fu quello presso una scuola a Gikongoro, dove in pochi giorni, furono brutalmente uccise oltre 27mila persone, poi seppellite in fosse comuni.

Il genocidio ebbe termine nel luglio 1994 con la vittoria del Rpf contro le forze governative che causò la fuga di oltre un milione di Hutu, quelli più legati agli apparati di potere e alle milizie paramilitari, che scapparono verso i paesi confinanti (Burundi, Zaire – oggi Repubblica democratica del Congo -, Tanzania e Uganda) per paura di essere giustiziati.

Il presidente del Ruanda, Paul Kagame

Il fatto è che nonostante gli anni, un genocidio è una frattura insanabile all’interno di un popolo, da un lato perché in genere il “massacro” è preceduto da una moltitudine indeterminata di «piccole guerre e genocidi invisibili», di azioni quotidiane gravi, ma limitate, condotte negli spazi sociali di scuole pubbliche, sale d’ospedale, pronto soccorso, case di cura, aule di tribunale, prigioni; dall’altro perché a ricordarlo vi sono i monumenti, i riti, i libri e le poesie.

In particolare, già nel 1993 – un anno prima del genocidio – era sotto gli occhi di tutti gli osservatori internazionali il rischio che si correva in Ruanda. Nel 1991 e il 1992 si era rilevato l’aumento di scontri etnici, frutto di una politica organizzata e fondata sull’ idea di “purificazione etnica”, di “genocidio” che la Francia conosceva.

Le scuse, arrivate con ritardo, riflettono le conclusioni di un documento elaborato dagli storici (il cosiddetto Rapporto Duclert) che ha messo nero su bianco le responsabilità del governo Mitterrand nei fatti di sangue del 1994 e da connettere al timore di perdere influenza nel paese africano e farsi sorpassare dai britannici, che invece sostenevano il Fronte patriottico ruandese (espressione dei tutsi) che intendeva scalzare l’élite hutu al potere fino ad allora, legata appunto ai transalpini.

Tra l’altro proprio un mese fa la procura di Parigi ha chiesto di archiviare l’inchiesta sulla presunta inazione di cui è stato accusato l’esercito francese rispetto ai massacri di Bisesero, nel giugno 1994, durante il genocidio dei Tutsi in Ruanda.

Sulle tempistiche dell’intervento di Macron (a parte il fatto che il Fronte patriottico, protagonista di quella tragica vicenda, è al potere dal 1994), diremo che è stato necessario per irrobustire la presenza francese in Africa, soprattutto nel centro del continente, forse il punto più meridionale di uno spazio sempre più conteso fra le potenze – Usa, Russia, Cina, Turchia, Egitto, petromonarchie arabe – che va dal Nordafrica all’Equatore, dal Senegal alla Somalia.

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