Pirandello e la solitudine dell’uomo di oggi (e di ieri)

di Sandra Persello, docente di Lettere

Narratore, drammaturgo, saggista, Luigi Pirandello ha saputo assimilare e poi rinnovare la tradizione letteraria ottocentesca, affermando la sua radicale novità di invenzione e scrittura, soprattutto nei romanzi e nelle opere teatrali.

Nato a Girgenti (Agrigento) nel 1867, egli, come scrive il Russo, inaugura “la nuova poetica dell’irrazionale, a cui si può rimandare tutta la sparsa produzione dei primi decenni del Novecento. Riesce a conseguire una genuina celebrità mondiale, perché la sua opera risponde ad una sofferenza, ad una pazzia latente di tutto il mondo contemporaneo”.

La consacrazione ufficiale del premio Nobel è del 1934, ma i temi di fondo del suo sentire sono già presenti sin dal primo romanzo, L’esclusa: contrasto tra apparenza e realtà, lo sfaccettarsi della verità (tante verità quanti sono coloro che presumono di possederla), la assurdità della condizione dell’uomo, fissata, nonostante la molteplicità del suo sentire e del suo agire.

Da questa condizione nasce Il fu Mattia Pascal (1904). Il romanzo segna la nascita del “personaggio” pirandelliano, privo di una identità definita, alla mercé della società contro la quale tenta una rivolta destinata al fallimento. Mattia amaramente giunge infatti alla conclusione che “è impossibile voler estrarre la logica dal caso, come dire il sangue dalle pietre”.

La produzione di Pirandello si riferisce ad una piccola borghesia ma solo nella sua dimensione esistenziale: gli interessa descrivere un punto di arrivo, più che motivare come e perché si sia arrivati a questo triste approdo. Solo una volta, ne I vecchi e i giovani, parla della amara delusione post-risorgimentale, del conflitto tra la vecchia generazione e la nuova, che, insoddisfatta di fronte alla stagnazione della vita politica dell’ultimo Ottocento, cerca nuove strade.

Il suo mondo poetico nasce quindi proprio dal “sentimento della condizione anarchica in cui si trova a vivere l’uomo moderno, della mancanza di un tessuto organico che lo sostenga e lo colleghi agli altri uomini, del dominio sull’uomo delle cose che sono estranee alla sua volontà”.

E ciò si avverte in particolar modo nella novità apportata in ambito teatrale.

Prima il teatro mirava alla rappresentazione di una realtà esistente come un dato di fatto. L’Autore siciliano introduce invece, come nei romanzi, una visione non più statica bensì dialettica del reale, cioè una realtà oppostamente interpretabile, tale che non può generare che lo scontro tra le varie interpretazioni. Così è (se vi pare) è la prima opera teatrale, in cui si realizza questa nuova concezione.

Ecco dunque la premessa, che determina la caratteristica raziocinante tipica dei personaggi pirandelliani, il loro arrovellarsi a ragionare, a spiegare: ma si tratta di una condizione inevitabile, perché il conflitto è tra le diverse interpretazioni della realtà. Poiché non è possibile far combaciare le opposte visioni e dar vita ad un terreno di colloquio e di comunanza, non resta che accettare la propria solitudine, quella forma, quella maschera che imprigiona la vita, in cui la visione degli altri inchioda gli esseri viventi.

Maschere nude (titolo che Pirandello stesso ha scelto per la raccolta dei propri testi teatrali) e il romanzo Uno, nessuno e centomila stanno proprio ad indicare gli inganni che la società impone all’individuo, costringendolo ad una esistenza non autentica: gli altri, ciascuno degli altri, ci immobilizza in una maschera, legata ad un aspetto particolare dell’esistenza, forse il meno importante, per cui noi non siamo più uno, ma mille, diecimila, quanti sono quelli che ci conoscono, come vuole denunciare la novella La carriola.

A tutto ciò va aggiunta un’altra novità: la dissoluzione della finzione scenica, il cosiddetto “teatro nel teatro”, che nei Sei personaggi in cerca d’autore (1921) trova il più valido esempio.

Secondo Pirandello avere forma è proprio delle persone viventi, costrette a cambiare di continuo oppure a costringersi nella fissità di una maschera; essere forma è tipico invece del personaggio poetico fissato sulla pagina, il quale resta eterno ed immutabile nello spazio e nel tempo.

Se un personaggio è appena abbozzato dalla fantasia di uno scrittore e non è ancora stato scritto, rappresenta la sorte dei Sei personaggi, che vagano alla ricerca di un autore, per realizzarsi, ma confondono, ritrovatisi su di un palcoscenico, la finzione col reale, e cessano quindi di esistere allo stato di personaggi.

Per quanto concerne il linguaggio adottato, le scelte riflettono un registro linguistico medio dell’Italiano, evitando la ricerca di preziosismi letterari, senza tuttavia indulgere a forme colloquiali popolari.

Appassionato di cinematografia, durante le riprese di un film tratto dal suo romanzo Il fu Mattia Pascal, si ammala di polmonite. A sessantanove anni, già sofferente di cuore, il 10 dicembre 1936 si spegne, dopo aver lasciato chiare indicazioni su come si sarebbero dovute svolgere le esequie.

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