Riduciamo le distanze tra la musica e le persone (giovani)

di Valeria Camia

Seduti in platea, in attesa che calino le luci e il concerto di musica classica o di opera lirica inizi, si rimane sempre impressionati dalla prevalenza persone over-50 nel pubblico. La musica classica è per anziani? Il pensiero è in stridente contrasto con l’idea, suggerita da più voci, che la musica classica sia un patrimonio universale. Ne parliamo con Paolo Paolantonio, abruzzese di origini, in Svizzera dal 2008, oggi ricercatore e docente per il Dipartimento di Ricerca e Sviluppo del Conservatorio della Svizzera italiana, dottorando presso il Royal College of Music di Londra e contrabbassista.

Paolo Paolantonio, i giovani, nella sua esperienza, ascoltano la musica classica?

Io credo che la musica classica possa interessare anche i giovani e nonostante la mancanza di conoscenza, se si arriva a valorizzare questo tipo di genere musicale, slegando il godimento dell’ascolto dalla capacità di suonare uno strumento o dal saper leggere lo spartito. Credo sia fondamentale che le generazioni dei più giovani, ma non solo loro, vengano abituati all’idea di ascoltare la musica classica per piacere, per emozionarsi.

D’altra parte, e tradizionalmente, la musica classica appare ‘inavvicinabile’ anche per il modo in cui chi la suona si presenta e le aspettative di stile che crea in chi la ascolta: siamo abituati, ad esempio, a vedere direttori d’orchestra in frac e il pubblico in abito da sera. Non crede che questo contribuisca a diffondere una specie di graduatoria tra i generi musicali, che non tiene conto del valore intrinseco e del contesto storico in cui è nata la musica classica? 

Credo che i tradizionali format di diffusione della musica classica possano rendere difficile, per ampie fasce di popolazione, l’accesso a questa forma d’arte. Anche tra amici, quando si parla di musica classica, non di rado si usa l’espressione “Mi piace, ma non ne so nulla.” Come se per l’apprezzamento di Beethoven fossero necessari anni di studio e conoscenza specifica del compositore. La musica classica scatena emozioni e diversi stati d’animo in chi la ascolta. Perché allora negarci questo piacere? 

Oltre alla musica classica, lei si dedica anche a quella moderna e in particolare al jazz: un invito a riconsiderare la presunta separazione tra la musica pop, leggera o commerciale e la musica classica?
Ci sono differenze e separazioni tra i generi musicali, legati al ritmo, armonie, strumenti, voci. Ma trovo difficile definire delle frontiere musicali tramite criteri artistici statici. Musica classica è Chopin e anche Puccini. Eppure poco li accomuna, se non il pubblico e la modalità di diffusione, in forma di concerto in presenza. 

Forse anche perché, a differenza di certi generi musicali fruibili alla radio, la musica classica emoziona maggiormente se ascoltata dal vivo? 

Concordo sul fatto che, là dove possibile, la musica classica dobbiamo averla “vicina”. Mi accorgo, ad esempio, dell’emozione che provoca, in chi ascolta, già nel momento in cui gli strumenti vengono accordati, se l’atto avviene in presenza. Per questi motivi, da anni lavoro con entusiasmo a progetti finalizzati a “portare la musica” in luoghi e contesti dove la fruizione può essere più problematica. Quello che ho cercato di fare è proprio stata l’individuazione di contesti nei quali la musica non arriva facilmente e, senza compromessi con la qualità della musica, fare qualche cosa di specifico per quella comunità. Al momento sono concentrato soprattutto sulle residenze per anziani e sulle aree più decentrate della regione, ma si potrebbero considerare anche altri contesti, come ad esempio centri per disabili o penitenziari.

La pandemia ha però costretto a un ripensamento della fruizione della musica, anche di quella classica, in remoto o streaming. Con quali conseguenze?

Rispondo ripensando ad un progetto che ho realizzato in pieno lockdown: un ciclo di nove incontri di musica classica in una casa per anziani in Ticino usando la piattaforma Zoom. Mi ha piacevolmente colpito come questo strumento tecnologico abbia permesso di essere vicino, con la musica, a persone in isolamento che potevano collegarsi e ascoltare i brani anche direttamente dalle loro stanze, senza doversi spostare. Inoltre, un altro aspetto adiuvato dalla tecnologia è stato un processo di democratizzazione legato alla fruizione della musica classica. Nel caso degli incontri con gli anziani, Zoom ha permesso ai residenti, ai musicisti che ho coinvolto e a me di sentirci parte di un gruppo di persone raccolte per il piacere di ascoltare una serie di brani classici e senza rapporti di gerarchia e soggezioni. Durante un concerto di musica classica c’è l’orchestra che sta davanti al pubblico e questo può creare un senso di distanza, mentre la tecnologia ha in qualche modo democratizzato la musica e facilitato la fruizione dell’evento. Inoltre, benché il contatto umano e l’ascolto dal vivo siano sicuramente preferibili, la tecnologia potrebbe essere utile per portare la musica in più strutture contemporaneamente, realizzando degli eventi altrimenti impensabili (anche per questioni geografiche) e con costi accessibili. Per tornare quindi alla domanda iniziale, sulla relazione tra musica classica e giovani, credo che le nuove modalità di ascoltare la musica classica potrebbero contribuire al suo apprezzamento anche tra i più giovani, che di solito non troviamo in platea durante i concerti.

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