Se l’antifascismo diventa solo questione di sinistra

Quale relazione tra risorgimento fascista e applicazione dei dispositivi di legge?

Se di “risorgimento fascista” si può parlare – a partire dalla accettazione supina nell’arco politico istituzionale di un partito come Casapound, che pure ha deciso pochi giorni fa di abbandonare la contesa elettorale, preferendo radicarsi sul territorio come semplice movimento – è semplicemente perché qualcosa, a livello di applicazione dei dispositivi di legge, è andato storto.

Lo aveva già denunciato Anpi, l’associazione nazionale dei partigiani, per voce della presidente Carla Nespolo, che aveva parlato di “irresponsabile fiacchezza delle autorità competenti” nei confronti dello scioglimento di Casapound, definita “organizzazione dichiaratamente fascista che fa uso della violenza e dell’intimidazione lo strumento principale di affermazione politica”. E una nuova denuncia arriva da un volto autorevole dell’associazionismo cattolico, Don Luigi Ciotti, attuale presidente di Libera e del Gruppo Abele: “Lo abbiamo detto in tante occasioni e lo ribadiamo con decisione: CasaPound va sciolta. Tutte le organizzazioni fasciste vanno vietate. Bisogna applicare le leggi e riempire i tanti vuoti della nostra Costituzione. Lì troviamo le istruzioni necessarie per costruire una società di diritti, lavoro e dignità”.

Eppure, se da un lato, le leggi non mancano (nell’ordine, XII disposizione finale della Costituzione, legge Scelba e legge Mancino), la prassi politica – a macchia di leopardo, veicolata già nel contesto delle giunte comunali di mezza Italia a trazione centro-destra dai palchi delle piazze in occasione dell’ultima festa della Liberazione – suggerisce un’indulgenza che certifica un’inversione dei rapporti di forza tra cultura liberale e sovranismo, per usare l’edulcorazione oggi di moda, autoritario.

Se si vuole mettere fuori legge il portato della cultura fascista, il leitmotiv dello spirito del nostro tempo che alberga nell’animo di molti politici di destra, moderata o radicale è: ci si dichiari contestualmente anticomunisti. In una parola, contro tutti i totalitarismi. Il che, da un punto di vista strettamente cultural-politico andrebbe anche bene, se non fosse per un piccolo particolare, che rende l’operazione un po’ meno innocua: con una piroetta semantica, infatti, si finge di ignorare che nel nostro paese sono previsti dispositivi giuridici che puniscono non solo l’apologia di un regime (Legge Scelba), ma la difesa di un’ideologia (Legge Mancino) che strutturalmente e intrinsecamente conduce alla costituzione di un regime oppressivo e totalitario. Con il risultato di far passare per buona la teoria dell’equiparazione tra socialismo e nazi-fascismo, assecondando i nostalgici. Ai quali, forse anche oggi, potrebbe essere utile la lettura di queste parole di Primo Levi (Se questo è un uomo, appendice 1976): “E’ possibile, anzi facile, rappresentarsi un socialismo senza lager. Un nazismo senza lager invece non è pensabile”.

 

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