Voto italiani all’estero: se deve essere così, meglio abolirlo del tutto!

Qualche giorno fa, il presidente della Commissione Affari esteri del Senato Vito Petrocelli (MS5) ha depositato un Ddl di riforma del voto all’estero. Al netto delle modalità vere e proprie attraverso le quali esprimere il voto – che tendono a non facilitarne la partecipazione -, alcuni punti rasentano l’incostituzionalità e, parimenti, vi è il chiaro tentativo di distruggere un diritto per il quale molte generazioni hanno lottato.

di Toni Ricciardi, segretario del PD Svizzera

Partiamo dalla cosiddetta “opzione inversa”, che tradotta significa che una cittadina o un cittadino residente all’estero deve comunicare 45 giorni prima del voto la sua volontà di esercitarlo. E quindi, prima di conoscere i candidati e i programmi, prima di ascoltare le proposte di coloro che si candidano a rappresentarla, una persona deve decidere se votare o meno. Sappiamo bene che, soprattutto negli ultimi decenni, più della metà degli aventi diritto decide l’ultima settimana se non addirittura le ultime ore se votare e per chi votare.
Il sistema dell’opzione inversa è stato già sperimentato qualche anno fa durante l’ultima elezione per il rinnovo dei Comites e il risultato è sotto gli occhi di tutti: partecipazione al voto del 4%. Questa proposta è stata giustificata adducendo la motivazione del risparmio dei costi di spedizione e stampa delle schede elettorali. In altre parole, per le elezioni in Italia si possono spendere milioni di euro per ogni tornata, per gli italiani all’estero no. Se si volessero risparmiare soldi, si potrebbe utilizzare il voto elettronico, lo fanno molti paesi e non si comprende perché non si possa farlo in Italia. Ancora, non si comprende perché lo spoglio delle schede che tanto scandalo ha provocato nell’ultima tornata, non si possa svolgere presso i consolati all’estero con utilizzo di scrutatori e presidenti di seggio residenti all’estero. D’altronde, ambasciate e consolati sono territorio italiano, quindi non ci sarebbero nemmeno problemi di giurisdizione con un abbattimento verticale dei costi di spedizione.
La verità probabilmente è un’altra. Rendere macchinoso e complesso il sistema di voto (si vedano artt. 3 e 4 del Ddl) significa volontariamente abbatterne la partecipazione lasciandola esclusivamente nelle mani delle organizzazioni territoriali che hanno contatto e controllo dell’elettorato.
Tuttavia, qualcosa di positivo nel Ddl è previsto, come nell’art. 6, che vieta la candidatura ai non residenti all’estero, proposta sacrosanta anche se, nel comma 2 dello stesso articolo, si propone l’ineleggibilità per i componenti dei Comites e del Cgie, non solo di quelli in carica, bensì addirittura retroattiva (fino a 2 anni dalla cessazione dell’incarico). La gravità di tale proposta è senza precedenti e chiaramente incostituzionale perché stiamo parlando di incarichi a titolo volontario e gratuito. E poi, sembra un paradosso in termini: vengono escluse proprio le persone che si sono spese maggiormente per le comunità italiane nel mondo, hanno organizzato attività e si sono impegnate nella quotidianità dei problemi.
In definitiva, se a questi punti presenti nel Ddl di riforma aggiungiamo anche il taglio della rappresentanza, che di fatto verrebbe dimezzata, è chiaro l’intento delle modifiche proposte: rendere inefficace il voto degli italiani all’estero. Diciamola tutta: siamo alle comiche finali. L’unico territorio nel quale demograficamente il numero di cittadini italiani aumenta è l’estero. Nell’ultimo decennio le sole iscrizioni Aire sono passate da poco più di 3 milioni a oltre 5,1 milioni. La nuova mobilità e la nuova migrazione sono temi di quotidiana attualità e la risposta a tutto ciò è tagliare.
Già oggi un parlamentare eletto all’estero rappresenta 4 volte il numero di elettori nel confronto di uno eletto in Italia (400mila contro 100mila), se si approvasse la proposta la cifra si raddoppierebbe rendendo del tutto inefficace la loro azione.
Le strade da percorre sono due: o si migliora il sistema del voto degli italiani all’estero garantendone trasparenza, proporzionalità della rappresentanza come in Italia e uguale diritto di scelta fino all’ultimo minuto, o meglio abolirlo del tutto, così francamente non serve più a nessuno. Nel secondo caso, però, e ne siamo quasi certi, andrebbe aggiunta una postilla: “No taxation without representation”. Detto nella nostra lingua: senza rappresentanza non sognatevi di venirci a chiedere di pagare le tasse!

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