Danziamo, danziamo altrimenti siamo perduti…

Strategie on line, laboratori creativi da remoto, coreografie nuove e didattica in sicurezza: così il comparto danza può prepararsi a ripartire sulle nuove linee guida e trasformare la crisi in opportunità. 

In uno scenario di ripartenze, scandito dal nuovo calendario di riaperture, in cui è obbligatorio garantire distanziamento sociale e sicurezza per evitare una risalita della curva epidemiologica, il settore della danza si interroga sul suo futuro. Parliamo di un comparto molto articolato che comprende compagnie di danza indipendenti, quelle appartenenti agli enti lirici come il Teatro alla Scala di Milano, il Teatro dell’Opera di Roma, il Teatro San Carlo di Napoli e il Teatro Massimo di Palermo, professionisti autonomi e scuole private che in Italia, secondo i dati dell’Aidaf (Associazione Italiana Danza Attività di Formazione), sono circa 30.000, con un’utenza di 5 milioni di persone tra allievi, artisti e insegnanti più l’indotto che generano. Il lockdown ha destabilizzato tutti i segmenti del settore, con ripercussioni differenziate. Nel frattempo, teatri chiusi fino al 15 giugno, numerosi gli spettacoli finora annullati e rinviati, ancora incertezza sulle programmazioni future e accessi agli spazi didattici consentiti con regole stringenti. Ne parliamo con Elisa Guzzo Vaccarino, esperta di balletto e di danza, scrittrice, insegnante di Storia ed Estetica della Danza in Italia e all’estero e alla scuola di ballo della Scala e collaboratrice per la danza alla Biennale di Venezia e al Premio Carla Fendi di Spoleto.

Elisa Guzzo Vaccarino

Numerosi sono stati i messaggi da parte degli operatori del settore che hanno rimarcato in questi mesi una mancata attenzione da parte del Governo verso un comparto già di per sé fragile.

C’è una ragione scientifica per questo: la danza chiede soldi e non ne produce, è un’arte che costa ed è sempre stato così, da sempre. In questo momento di incertezza, ogni segmento del settore dovrebbe compattarsi ed elaborare proposte mirate sulle proprie necessità, con responsabilità e praticità, senza lamentarsi. Occorre ovviamente fare un distinguo: ad esempio La Scala ha degli sponsor privati molto forti, alcune compagnie indipendenti ricevono finanziamenti dalle Regioni e poi ci sono le reti: la danza contemporanea si è dotata di link che il balletto classico non ha. Molte scuole si sono da subito organizzate, proponendo, a rette ridotte, lezioni on line, per mantenere la relazione con l’utenza. Io vedo che gli artisti che non sono caduti nella trappola della “danza Cenerentola”, lottando e combattendo, hanno ottenuto molto di più. Chi ha dei materiali interessanti li usi e li diffonda sulle piattaforme. Bisogna lavorare di inventiva, ad esempio qualcuno ha anche proposto residenze web in alternativa a quelle dal vivo.

Proprio in relazione alla danza in remoto, il web ci ha offerto contenuti nuovi. Mi riferisco ai video, assoli sapientemente assemblati, di alcune compagnie di danza in quarantena, intente a praticare il loro training quotidiano, come quello del Corpo di Ballo dell’Opera di Parigi, firmato dal regista Cédric Klapisch, quello dell’American Ballet che ha realizzato un “Swan Lake” in lockdown in 2’ e 30’’, il video del Balletto Nazionale della Spagna diretto da Rubén Olmo in occasione della 38a Giornata internazionale della danza e l’ironica proposta coreografica dei ballerini del teatro Mikhailovsky di San Pietroburgo. Oppure videocreazioni come ad esempio 1 meter CLOSER di Diego Tortelli per Aterballetto. Pensa che queste sperimentazioni abbiano un potenziale creativo e produttivo da generare nuovi format?

Anche se ho visto poche cose interessanti, in alcuni casi, anzi, i ballerini hanno la telecamera come fosse il loro specchio in modo un po’ autocompiaciuto, questo non esclude che bisognerà inventare un genere che potrebbe ripercuotersi dal vivo. Quest’estate si potrebbero proporre degli assoli di contemporaneo e di classico, con una duplice offerta per il pubblico invece dei passi a due che ispirano tanto i coreografi, realizzarli magari dove sarà possibile, nel caso, ad esempio, di coppie di ballerini conviventi come Nicoletta Manni e Timofej Andrijashenko. Occorre considerare tanti fattori: la distanza, la fruibilità, la location; si possono utilizzare anche siti archeologici e luoghi d’arte. È un momento di grande creatività in cui bisogna essere pratici e concreti e chiedere soldi per proposte mirate. L’Arena di Verona, che ha migliaia di posti e il Festival di Ravenna hanno già annunciato che faranno qualcosa all’aperto per la stagione estiva. E nel frattempo, in attesa del correttivo live della socialità e dell’umanità in presenza, produrre materiali, caricarli sulle piattaforme e cercare di divulgarli, allargando il pubblico.

Cosa pensa della recente offerta sui siti web e sui canali social dei teatri e in TV?

Molti teatri hanno caricato dei bellissimi filmati delle loro produzioni come il Teatro Massimo di Palermo. A casa, ho avuto la possibilità di vedere spettacoli che mi erano sfuggiti o che non avrei potuto vedere dal vivo, accedendo a palinsesti televisivi dedicati alla danza e a piattaforme teatrali, come Fadetta, un balletto degli anni’30 coreografato da Leonid Lavrovsky sul canale youtube del Perm Opera Ballet Theatre o i Carmina Burana al Teatro San Carlo di Napoli, trasmesso di recente su Rai5, firmato dall’artista cinese americano Shen Wei: un uomo che proviene da un’altra cultura, che prende un falso dei falsi canti medievali fatti in Germania e ne fa un’opera nuova, una produzione splendida, di una raffinatezza unica, adattissima ad essere filmata quando non tutte le danze lo sono.

A proposito del valore aggiunto di alcuni balletti e di chi la danza la gode come spettatore, come capire le idee e il processo creativo al di là dell’esecuzione? Ci si può educare a guardare la danza?

La danza non è un’arte immediata, richiede di acclimatarcisi, non basta veder fare prodezze perché il virtuosismo che desta meraviglia non è tutto. Occorrerebbe avvicinare il pubblico con approfondimenti su qualche esempio riuscito. Spiegare ad esempio perché Le Corsaire di Alexei Ratmansky è migliore, coreograficamente parlando, di quello di Anne Marie Holmes alla Scala, questo può essere oggetto di trattazioni che bisogna imparare a fare in maniera svelta, comunicativa, un po’ anglosassone, con meno retorica e più chiarezza: si possono esprimere concetti molto complessi in maniera accessibile.

 

 

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