Il demone della danza

Dance Well Dancers: una pratica artistica per le persone affette da Parkinson e non solo nell’ex ospedale psichiatrico di Collegno

Edificio un tempo adibito al lavaggio dei panni del più grande ospedale psichiatrico d’Italia, La Lavanderia a Vapore di Collegno è oggi un virtuoso esempio di rigenerazione urbana che un’operazione culturale sapientemente orchestrata ha restituito al territorio nella sua nuova vocazione artistica e sperimentale, ribaltandone la percezione simbolica. Unico centro di residenza per la danza in Piemonte e membro dell’European Dancehouse Network, dal 2015 è in concessione decennale alla Fondazione Piemonte dal Vivo che promuove al suo interno eventi con danzatori e coreografi provenienti dall’Italia e dall’Europa e iniziative di audience engagement tra cui Dance Well Dancers, progetto a cura di Mara Loro e rivolto in special modo alle persone affette dal Parkinson.

Emanuele Enria, uno dei formatori, ci racconta quella che definisce una pratica artistica, approdata due anni fa alla Lavanderia a Vapore grazie alla collaborazione con il Centro per la Scena Contemporanea di Bassano del Grappa dov’è stata elaborata e ideata su pratiche preesistenti. “Il valore aggiunto di questo progetto che si evolve con una sua precisa identità nella Lavanderia a Vapore”, ci spiega Emanuele Enria, “è un pubblico misto: oltre a persone con il Parkinson, le classi sono composte da artisti, danzatori e chiunque voglia partecipare. Nello sviluppo e divulgazione di questa pratica a Torino, è stata fondamentale la collaborazione con l’Associazione Italiana Giovani Parkinsoniani e con il suo vicepresidente Massimiliano Iachini.”

Com’è stato coinvolto nel progetto e quali competenze sono necessarie in questo caso per lavorare con persone affette dal Parkinson?

Sono stato scelto sulla base di determinate specificità, personalmente mi ha molto aiutato essere un insegnante Feldenkrais. Poi con gli altri formatori, Elena Cavallo e Lucia Guarino sono stato invitato a Bassano del Grappa per alcune giornate di formazione dove ci siamo da subito confrontati con le persone con il Parkinson e abbiamo anche trovato connessioni artistiche: il gruppo storico di Bassano del Grappa, grazie alla presenza di artisti e coreografi, aveva già lavorato a degli spettacoli. Per quanto riguarda le competenze, sono ad ampio spettro, bisogna arrivare comunque dal mondo del movimento e della danza. La condizione di partenza, che va oltre il discorso etico di come approcciarsi alle disabilità, parte dal presupposto che non c’è un’estetica giusta o sbagliata. È come entrare dentro un tracciato dove occorre superare la vecchia e obsoleta distinzione, difficile da sradicare, tra un lavoro intellettuale e uno più fisico perché nel corpo organico (il modo in cui usiamo e pensiamo insieme il movimento) il rapporto tra pensiero, azione e sensazione è univoco e un aspetto nutre l’altro e viceversa.

Come dialoga questa pratica artistica con le terapie mediche riabilitative per il Parkinson?

Il fatto che Dance Well Dancers sia un progetto artistico e non medico sdogana una grande visionarietà. La grande intuizione poggia sul fatto che il Parkinson ha dinamiche psicofisiche che richiedono un forte lavoro sull’immaginazione: in presenza di una serie di tremolii che si attivano e di inceppamenti motori ovvero di movimenti involontari (a me piace parlare di “demone della danza”), occorre lavorare molto sull’immaginazione del movimento, accantonando l’idea di handicap e di adattamento inteso come limite. Quando facciamo un movimento, diamo infatti per scontato che si faccia in una certa maniera ma, nel caso del Parkinson, bisogna imparare a pensarlo e visualizzarlo in modi diversi di modo che passi attraverso un circuito diverso; da qui esce la parte creativa di ogni partecipante che va a nutrire il gruppo e il modo in cui si conduce la classe, innescando un circolo virtuoso. Inoltre lavorare all’interno di spazi museali, davanti alle opere d’arte è un ulteriore stimolo.

Dance Well Dancers è un progetto artistico e non medico che mette al centro un forte lavoro sull’immaginazione.

Rispetto alle teorie mediche riabilitative, si tratta di nutrirsi creativamente di tutto ciò che ci sta intorno che alimenta a sua volta lo stimolo che va a nutrire il cervello il quale ha continuamente bisogno di essere stimolato. La situazione e il contesto diventano elementi creativi che generano, reinterpretano e sviluppano ogni tipologia di movimento, senza un codice e una grammatica fissi. Questa pratica, sperimentale ma ben radicata, che lavora sulla qualità del movimento, sull’aspetto emotivo e su quello intellettuale, si confronta costantemente con medici e neuroscienziati. Il fatto poi di sentirsi dentro a un progetto di creazione artistica e insieme di spettacolo, come ad esempio la partecipazione l’anno scorso al festival di danza contemporanea di Vignale con un lavoro coreografico di Daniele Ninarello, è stimolante al punto che a quell’esperienza le persone con il Parkinson hanno risposto con entusiasmo, non avvertendo stanchezza né fatica. 

Com’è strutturata la classe e il gruppo di lavoro? Quali sono gli obiettivi a medio e lungo termine e i feedback raccolti finora?

Le classi durano da un’ora a un’ora e mezza. La nostra specificità alla Lavanderia a Vapore è che possono condurre contemporaneamente due o tre persone. Recentemente abbiamo aggiunto un momento di riflessione che raccoglie in pensieri e parole quello che esce dalla classe nel confronto costante e nello scambio reciproco: i Propositi di Filosofia condotti da Gaia Giovine. Stiamo infatti lavorando a ridefinire il ruolo intellettuale in relazione all’ascolto del corpo, ai suoi tempi di reazione, alle sue risposte dentro gli spazi, nel rispetto delle visioni che nascono. Dai partecipanti ci arrivano sempre feedback positivi e incoraggianti. Spesso lavoriamo nei musei: quest’anno siamo stati ospiti della Fondazione Sandretto a Torino. Gli obiettivi a medio e lungo termine hanno a che fare con una programmazione artistica per cui parte del lavoro va sempre a coniugarsi con tappe di spettacoli, collaborazioni coreografiche, scambi e appuntamenti come il B.Motion Danza a Bassano del Grappa nella terza settimana di agosto. Quest’anno, in occasione della Giornata mondiale della danza, a Torino c’era in programma la Sagra della primavera ma poi tutto è stato interrotto, come gli altri eventi estivi a causa dell’emergenza sanitaria.

A proposito del periodo di lockdown, può raccontarci com’è andata l’esperienza on line di #citofonaredancewell conclusasi di recente?

Di fronte al senso di paura e timore che tutti stavamo vivendo, abbiamo avvertito un bisogno di benessere e di confronto e la necessità di garantire la continuità della pratica per cui abbiamo proposto incontri online con frequenza settimanale. Superate le difficoltà tecniche iniziali, abbiamo avviato questo straordinario esperimento da cui è nata un’idea di gruppo ancora più ricca: abbiamo avuto ospiti e amici che si collegavano dall’Inghilterra, dall’Irlanda e da tutta l’Italia e abbiamo raggiunto un pubblico misto anche di 60 persone. #citofonaredancewell è nata come un’idea timida, come quando si citofona e si chiede di entrare. In questi quattro mesi, la distanza ha amplificato il concetto della visualizzazione e, guidando il gruppo con la voce, sono emersi molti dettagli sulle parole; da quest’esperienza sono uscite suggestioni e idee da elaborare e su cui riflettere per i prossimi anni, materiale che non vorremmo disperdere ma con altri soggetti e attraverso collaborazioni poter sviluppare in futuro.

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