Il sogno di un “paziente europeo” non è troppo lontano. Ecco perché

Il Piano dell’Europa per battere il cancro comincia a dare i suoi frutti

di Alberto Costa

In foto:

la Commissaria
europea alla salute,
Stella Kyriakides

La Commissaria europea alla salute, signora Stella Kyriakides, rappresentante di Cipro, ama raccontare l’emozione della notte in cui partirono da Bruxelles i vaccini anti-Covid per tutti gli Stati Membri dell’Unione: 27 aerei diversi, credo dell’aviazione militare belga, decollarono nelle stesse ore per Parigi quanto per Malta, per Berlino come per Zagabria.

Stella dice sempre che quella sera è nata l’Europa della salute, perché in realtà la materia sanitaria non è di competenza di Bruxelles, ma dei singoli Stati Membri. La pandemia ha però cambiato le carte in tavola e ha fatto crescere la consapevolezza del fatto che anche la salute è un problema unitario e comune.

Non stupisce quindi che il 3 febbraio 2021, quasi tre anni fa ormai, la Commissione abbia presentato al Parlamento di Strasburgo il piano denominato “Europe’s Beating Cancer Plan”, articolato in 10 settori fondamentali e finanziato con la somma senza precedenti di 4 miliardi di euro da distribuire ai 27 Stati Membri per realizzarlo.

Che significa in concreto un piano europeo per battere il cancro? Il progetto è ormai ben avviato (la sua durata è quinquennale) e comincia a dare i suoi frutti. Tante lezioni imparate con il Covid si stanno rivelando utili anche nelle relazioni con l’industria farmaceutica che è sempre meno libera di trattare in modo indipendente, Paese per Paese, ma che deve tener conto di un quadro di riferimento europeo più chiaro e più definito.

Gli investimenti nei maggiori centri di ricerca hanno ridato fiato ai gruppi europei nella competizione con gli americani e si nota per la prima volta una diminuzione dell’esodo di giovani ricercatori. La competizione con gli USA è comunque salutare e positiva e gode anch’essa di un nuovo quadro di riferimento: il 17 maggio di quest’anno, a Bruxelles, la Commissaria Kyriakides ha firmato con il segretario di Stato USA, Xavier Becerra, un accordo bilaterale di collaborazione in sanità, per la prima volta EU/USA.

Fatto nuovo e interessante perché fino a quella data tutti gli accordi erano tra Paesi membri (soprattutto i grandi, naturalmente) e gli USA: Francia/USA, Germania/USA, ecc. Oggi parliamo di UE/USA e ognuno sceglie i componenti delle rispettive delegazioni: come gli americani sono americani e noi non facciamo differenza se vengono dalla California o dalla Florida o dal Nebraska, così adesso gli europei sono europei e a seconda delle situazioni possono essere spagnoli o italiani o svedesi. Una rivoluzione silenziosa.

I pilastri del piano europeo affrontano i diversi aspetti della malattia cancro e cominciano anche a beneficiare di un maggior coordinamento fra diversi settori della Commissione di Bruxelles: i programmi di educazione contro il fumo sono collegati agli interventi normativi e fiscali sul tabacco; il sostegno ai soggetti guariti comprende anche nuove norme di protezione assicurativa profondamente diverse dal passato.

Una diagnosi di cancro, in tutti e 27 i Paesi membri, portava fino a poco fa a rischi di perdere il posto di lavoro, a rifiuti di accensione di mutui, a svantaggi di carriera. Oggi il programma “right to be forgotten” (diritto ad essere dimenticati) introduce il principio che dopo 5-10 anni (a seconda dei casi) dalla diagnosi di cancro si torna ad essere come se non lo si avesse mai avuto. Con tutte le conseguenze benefiche del caso.

Un capitolo a parte è dedicato all’oncologia pediatrica, cioè alla cura dei bambini con tumore. Settore molto delicato e fragile in Europa per la nostra grande differenza di lingue, culture e in molti casi anche moneta. Il confronto con gli USA è d’obbligo: una famiglia con un bimbo malato di tumore può muoversi da uno Stato all’altro a seconda della collocazione dei centri di cura, sempre parlando la stessa lingua, usando la stessa carta di credito e venendo rimborsato dalla propria assicurazione.

Nella UE abbiamo ancora molta strada da fare in questo campo: soprattutto nei Paesi piccoli è difficilissimo ottenere le cure adeguate per i tumori pediatrici e per quelli rari, un bimbo che si ammala a Malta, per esempio ha molte meno chances di guarire di un suo coetaneo di Parigi o di Madrid.

È così entrata in vigore la regolamentazione della libera circolazione anche dei pazienti, il cosiddetto cross-border scheme, che permette a ogni cittadino UE di curarsi in qualsiasi dei 27 Paesi Membri. Facile a dirsi e molto più difficile a farsi, soprattutto per questioni amministrative e linguistiche. Ma il seme è nel terreno e la pianta crescerà.

L’idea delle cure cross-border (transfrontaliere) sta ridisegnando i flussi dei pazienti e aiutando chi ha bisogno di raggiungere un luogo di cura specializzato il più possibile vicino a casa. Valga come esempio il caso di pazienti che abitano nei villaggi della costa slovena che arrivano a Trieste in mezz’ora e che sono invece più distanti dalla loro capitale Lubiana dove si trova l’Istituto Oncologico, o i lussemburghesi che sono troppo piccoli, come Paese, per avere strutture di alta specializzazione e che quindi fanno prima ad andare in Francia o in Germania.

È un processo lento, ovviamente, ma che contribuisce alla nascita di quel “paziente europeo” variante purtroppo difficile del “cittadino europeo” che i fondatori dell’Unione sognavano.

Ultimo grande obiettivo che deve assolutamente essere ricordato è quello della diagnosi precoce. Sappiamo ormai da anni che da quando le donne eseguono regolarmente il PAP test ha cominciato a sparire il cancro della cervice uterina, e che laddove viene offerta la mammografia gratuita sopra i 50 anni si muore molto meno di tumore al seno.

Questi programmi sono chiamati “screening” e si basano sulla sensibilizzazione dei cittadini in merito ai rischi di ammalarsi di tumore: essi selezionano i soggetti a rischio e li sottopongono ad accertamenti ulteriori se non anche a piccoli interventi preventivi.

Emblematico il caso del tumore al colon retto: gran parte di questi tipi di cancro passano attraverso lo stadio preliminare di “polipo”, una formazione ancora benigna ma che può evolvere verso la malignità. Chi si sottopone con pazienza ad una colonscopia dopo i 50 anni e ogni 5 anni riduce molto sensibilmente il proprio rischio di tumore al colon perché durante la colonscopia tutti i polipi rilevanti vengono asportati e non possono quindi più trasformarsi in tumore.

Analogo il caso dei due nuovi tumori per cui dal gennaio di quest’anno è prevista l’attivazione di programmi di screening: quello del polmone e quello della prostata. Per il primo vengono convocati i soggetti che hanno fumato 20 sigarette al giorno negli ultimi 20 anni. Una speciale TAC indagherà l’eventuale presenza di un tumore iniziale.

Per la prostata verrà promosso l’esame del sangue PSA che, se trovato anomalo, porterà a un controllo con risonanza magnetica. Molto da fare quindi, per gli oltre 450 milioni di cittadini della UE, ma finalmente anche molte risorse e molto impegno.

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