Le sfide della cultura in uno scenario Covid-19

A causa della situazione di sospensione e incertezza per lo stato di emergenza sanitaria, l’intero comparto culturale, un sistema già di per sé fragile, rischia di collassare con tutto l’indotto che genera e la sua filiera di imprese creative e dell’innovazione. Federculture ha stimato una perdita a medio termine di circa 3 miliardi di euro di spesa per attività culturali e ricreative. Ingenti quindi i danni economici diretti e indiretti, considerando anche che la maggior parte degli operatori culturali, professionisti altamente qualificati, sono autonomi e privi di tutele e reti protettive. Mentre biblioteche e musei riapriranno il 18 maggio, con ipotesi di accessi scaglionati e tour guidati per monitorare il flusso e garantire la distanza tra utenti, gli eventi artistici e culturali live invece continueranno ad essere annullati e così i teatri a rimanere chiusi.

A fronte di tutto questo, va evidenziata l’ampia adesione finora a iniziative sul web come spettacoli in streaming, tour virtuali nei musei, prestiti di libri digitali. Chiediamo allora a Luca Dal Pozzolo, direttore dell’Osservatorio Culturale del Piemonte, Sovrintendente delle Fagianerie Reali e membro del Comitato scientifico dell’Osservatorio del Ticino una sua opinione in merito.

L’immagine ha forse sostituito l’evento e la parola l’atto? Cambieranno secondo lei le modalità di fruizione dei contenuti culturali anche in un scenario post Covid-19?

C’è un lato indubbiamente  positivo nella scoperta – assai tardiva da parte di molti – di alcune potenzialità del WEB. Considerato uno strumento banale di comunicazione e pubblicità, soprattutto per i più giovani, alcune istituzioni scoprono oggi che il web è un pezzo di mondo inestricabilmente legato alla quotidianità che veicola contenuti e prodotti di qualità di altro pregio da almeno una ventina d’anni, insieme a tutte le scorie e ai detriti che s’ammucchiano parimenti nel mondo cosiddetto reale. Perché anche il WEB non è una fantasia, ma assolutamente reale. Qualcuno sosterrebbe oggi che il teatro è reale e il cinema no? Molte istituzioni presenti da tempo sanno che solo sul WEB possono parlare a miliardi di persone come non potrebbero nelle sale del museo o nel teatro e non offrono un surrogato delle stanze del loro edificio ma prodotti culturali pensati e creati per il WEB; altri che s’affacciano improvvisando una loro presenza per reagire alla chiusura, per non scomparire agli occhi del mondo, mostrano goffaggini e prodotti di bricolage. Ci vorrà del tempo per acquisire l’esperienza ma questo allargamento coatto a considerare la rete come una parte di mondo non più sottovalutabile è un elemento sicuramente positivo. E si porta dietro una conseguenza non banale, ovvero l’allargamento della domanda degli utenti che si sta abituando a cercare la cultura in rete, un cambiamento antropologico da non sottovalutare.

Attraverso gli Osservatori culturali e altri strumenti di monitoraggio si possono quantificare i danni economici ai settori della cultura a livello nazionale e ottenere una mappatura attendibile. Per la regione Piemonte, quali le maggiori criticità recentemente emerse e i dati più significativi?

In Piemonte stiamo monitorando l’andamento della crisi a brevi intervalli, senza una scadenza, pensando che gli effetti saranno di lungo periodo. Per dare un’idea, nella sola prima settimana di chiusura in Piemonte si contano 3.378 spettacoli ed eventi annullati, 3,6 milioni stimati per difetto di perdita diretta, quasi 100 mila visitatori ai musei in meno. E’ in fase di chiusura il monitoraggio che arriva fino al 3 aprile e all’indagine si sono aggiunte altre Regioni che adottano lo stesso questionario. Vedremo anche i dati comparati entro breve.

Se vale di necessità virtù, può questa crisi essere un’opportunità di rilancio dell’intero comparto culturale?

Il comparto culturale è entrato con tutte le sue criticità storiche nel gorgo del COVID: anche solo individuare la platea di coloro che necessiterebbero di un sussidio è il risultato di una ricerca faticosa, perché molti, pur con contratti subordinati – ad esempio gli intermittenti – risultano nella folla dei lavoratori invisibili alle statistiche ministeriali. Per non parlare delle prestazioni singole e di tutti i lavori atipici. Sì, occorrerebbe uno scatto in avanti, un intervento deciso e visionario, ma ho i miei dubbi che ciò avvenga. Vedo un moltiplicarsi di appelli, manifesti, richieste che mostrano, tra l’altro, la frammentazione e la fragilità del comparto, in un momento in cui le risorse sono vitali per ogni settore produttivo, dalla scuola, alla sanità – come abbiamo sperimentato – all’industria, al welfare nel suo complesso.

Eppure da parte del Governo e del MiBACT sono arrivati segnali positivi e mi riferisco al Fondo emergenze spettacoli, cinema, audiovisivo, ai provvedimenti per i lavoratori previsti nel decreto “Cura Italia”, all’avvio di procedure per il riparto di 20 milioni di euro a sostegno delle realtà delle arti performative, alla trasformazione in voucher dei rimborsi previsti per i biglietti…

Tutti gli strumenti citati aiutano per un pezzo ad alleviare la situazione e sono quindi preziosi e benvenuti ma al di là degli stanziamenti per la cultura e della loro dimensione, il rischio è che si pensi prevalentemente a tamponare una situazione drammatica senza gettare le basi per una ripartenza su altre basi strutturalmente più solide, un potenziamento della domanda oltre che una difesa dell’offerta. Sarebbe un disastro, se ciò avvenisse, perché la situazione è tale da poter prevedere facilmente che dopo un investimento straordinario, di qualsiasi entità esso sia, non ci sarà una seconda chance.

Quando tutto ripartirà, il settore dello spettacolo dal vivo sarà forse quello più penalizzato dalla norma del distanziamento sociale o pensiamo anche al rischio di un’offerta legata esclusivamente alla stagionalità con spettacoli estivi all’aperto. Anche i musei dovranno riformulare nuove strategie.

Su come si frequenteranno gli spettacoli o i musei non è superfluo sottolineare che i luoghi della cultura e i luoghi della socialità sono perfettamente sovrapposti: cinema, teatri, musei, piazze, arene, giardini, ecc. Occorrerà sperimentare nuovi modi di fruizione perché il punto di equilibrio tra rischi zero = chiudersi in una cassaforte e ritorno alla situazione precedente = rischi potenzialmente incontrollabili, non sarà questione di norme e di parere di esperti, virologi e ingegneri: dovrà essere un punto d’equilibrio politico, condiviso dalla cittadinanza.  Sarà il riappropriarsi della dimensione sociale, imprescindibile, ma con giudizio.

C’è il rischio che a soccombere saranno le piccole realtà culturali territoriali e a sopravvivere solo i presidi storici?

Il rischio vero è che soccombano i “medi”, non le grandi “eccellenze” – per usare un termine irritante – dei territori e delle città, non i piccolissimi capaci di cambiare pelle, con dolore certo, ma senza troppe inerzie, ma i “medi”, le istituzioni, le imprese, le associazioni che hanno investito per strutturarsi, che hanno offerto posti di lavoro stabili e dignitosi, che mantengono alta la mira della produzione culturale; troppo piccoli per essere difesi come la spina dorsale del sistema, troppo grandi per trasformarsi velocemente senza distruggere il capitale accumulato. Peraltro, buona parte degli innovatori lavora qui. Questo è un rischio da provare a evitare, pena l’impoverimento di tutto il sistema. E poi l’emersione degli invisibili: è anche sulle loro spalle che poggia la creatività diffusa, è la loro presenza che innerva di competenze anche le strutture più grandi, dopo anni di esternalizzazioni e precarizzazione di  competenze. Essere freelance è un conto, essere invisibile, non sapere a quale codice d’attività appartenere, non sapere come fatturare, è semplicemente emarginazione sociale e produttiva. Le sfide sono tante e si possono anche perdere, a volte, ma lasciarle cadere sarebbe un vero delitto.

 

 

 

 

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