Fondo di solidarietà: la testimonianza di Lorenzo Micheli

di Lorenzo Micheli, chitarrista e Co-Responsabile della Formazione e dell’area Performance alla Scuola universitaria di Musica del Conservatorio della Svizzera italiana

Il vento tempestoso della pandemia continua a soffiare. Ha spazzato via dalle nostre vite certezze, abitudini e convenzioni e insegnato il significato della parola “fragilità” a intere generazioni che non avevano mai conosciuto una tale insicurezza e limitazione delle libertà personali. In questo quadro, l’impoverimento collettivo si è concretizzato non solo nella contrazione dei redditi e del potere d’acquisto, ma anche nella difficoltà di fare progetti a medio e lungo termine.

Come tutti i campi dell’attività umana le arti, e in particolare le arti dello spettacolo, sono state profondamente toccate dall’emergenza. La “distanza sociale”, un ossimoro che suonerebbe quasi scherzoso se non fosse drammatico, ridisegna in ogni momento le nostre traiettorie quotidiane, reali e simboliche. La musica ne è doppiamente colpita: in quanto professione che ha come proprio orizzonte naturale quello del mercato internazionale e globale – improvvisamente chiuso ai movimenti e agli scambi – e in quanto forma d’arte che trova il proprio coronamento nel rituale antico del concerto pubblico.

I teatri e le sale da concerto sono blindati, le stagioni rinviate o cancellate, le orchestre ferme. Scuole e Università della musica hanno cercato di riorganizzarsi spostando on line una parte dei corsi e sperimentando nuove strategie didattiche. Quello che è iniziato come un blocco temporaneo si sta rivelando una lunga attesa priva di certezze. Rimane l’impressione che la Rete, inesauribile contenitore in perpetuo fermento, possa compensare in qualche misura questo impoverimento: ma è un’illusione fallace, perché dietro qualsiasi forma di intrattenimento mediato attraverso un computer o un telefono ci sono le persone in carne e ossa, gli artisti, i creativi e i professionisti che vivono del frutto del loro ingegno.

Come i loro colleghi di tutto il mondo, gli studenti del Conservatorio della Svizzera italiana hanno investito le loro energie migliori in un percorso di formazione professionale. Molti di essi sono già inseriti nel mercato del lavoro, altri si affacciano oggi alla sua soglia. Il giovane musicista è, come il pittore rinascimentale, un apprendista che va “a bottega” per imparare il mestiere da un maestro: è un allievo che impara l’arte praticandola, in un intreccio indissolubile dove lo studio e il lavoro sono due facce diverse dello stesso dado.

A seguito della crisi sanitaria ed economica, questi studenti hanno visto venir meno le attività grazie alle quali finanziavano i propri studi. Per questo il Conservatorio della Svizzera italiana ha creato il Fondo di solidarietà, destinato agli studenti che si trovano in difficoltà economica, o che non possono più contare sull’aiuto di genitori e famigliari a loro volta colpiti.

Oggi, con la riapertura parziale in atto in molti paesi europei, l’angoscia delle settimane passate sta finalmente lasciando spazio a un moderato ottimismo. Sempre più si fa strada la speranza che da questo tempo di paura usciremo più forti e più consapevoli dell’immenso valore della condivisione, anche nell’esperienza artistica.

Eppure per i giovani musicisti la strada è più che mai in salita. La macchina dello spettacolo ha tempi organizzativi lunghi ed è legata a doppio filo alla disponibilità di risorse materiali, oltreché alla garanzia di un “ritorno alla normalità” che avrà tempi e modi difficili da prevedere. Per questa ragione è più che mai fondamentale che il Fondo possa continuare a beneficiare di un ampio sostegno. Perché ogni singola donazione, a prescindere dalla sua entità, può fare davvero la differenza.

 

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