Per una normalità autentica

Tutti vogliamo tornare alla normalità. Ma quale normalità? Qualcuno dice una nuova normalità poiché non possiamo far finta di niente.  Ci sentivamo così sicuri, convinti che i nostri progressi, scientifici e tecnologici, ci avessero messo al riparo dall’angoscia. E poi è successo l’imprevedibile. Una catastrofe ha coinvolto il mondo intero e ha fatto strage di troppi esseri umani. Eravamo convinti di poter controllare tutto. Ci lamentavamo dei rapporti incessanti richiesti dal lavoro, della complessità della vita familiare, del traffico, dei rumori, della stanchezza, del non avere tempo, e tutti quasi tutti forse desideravamo momenti di solitudine per calmare le tensioni, per riflettere in pace su se stessi. Tutto questo e non solo era prima, poi è arrivato lui, l’ospite inatteso.

Ho chiesto un parere ad una mia amica, educatrice, con uno sguardo quotidiano sulle dinamiche sociali quindi sulla vita pratica di noi tutti e nel ringraziarla condivido con voi il suo punto di vista.

Il punto di vista di Arianna: “Prima del covid 19 tutti lamentavano un senso di stanchezza, appesantiti da stress e dalle pressioni lavorative e personali. Le settimane di stop forzato potevano dare la possibilità di gustare un tempo lento ma, l’essere umano, insofferente per natura, non ha tollerato il cambiamento repentino di abitudini. Tutti concentrati sulle privazioni, al posto di osservare il lato opposto: la possibilità di avere un tempo nuovo. Queste settimane potevano essere un’occasione per riprendere le cose lasciate a metà: libri, film mai finiti, rivedere vecchie foto, riordinare armadi, fare buoni propositi e ipotetici possibili cambiamenti. Poi è tornata la “normalità” e il tempo si è trasformato immediatamente “in veloce” e le lancette si sono portate via i “buoni propositi”.

Dagli antichi filosofi, la solitudine veniva esaltata come la condizione propria del saggio che non si lascia travolgere dalle vicende umane, ma ne rimane in disparte per riflettere su di esse, comprenderle e dominarle. Sant’Agostino ha espresso, in un ammonimento famoso, questa condizione: “Non uscire fuori di te,” egli ha detto “ritorna in te stesso: nell’interno dell’uomo abita la Verità”.
Ora noi cerchiamo nella solitudine una forza restauratrice della nostra serenità e della nostra energia. Ma la cerchiamo proprio perché temiamo quell’altra specie di solitudine, di cui spesso soffriamo nel mezzo delle faccende quotidiane e dei rapporti con i nostri simili.
In questo tempo di pandemia tutti abbiamo fatto esperienza di solitudine forzata o isolamento e, adesso che le misure si stanno allentando, come vogliamo vivere?
Sappiamo che l’individualità è sempre implicata in legami sociali, è sempre inscritta in una socialità. Il nostro è senza dubbio il tempo della precarietà. La precarietà dell’esistenza terrena, la precarietà dei legami sociali, dopo questa catastrofe forse si è ancora più rafforzata.
Nella precarietà la vita è relegata nel e dal presente.
Riusciremo ad assumere la propria precarietà e diventare responsabili del proprio essere nel mondo?
La categoria della Responsabilità richiama subito il concetto di Libertà, due categorie che ci hanno molto interrogato in questo periodo, sul loro senso e significato.
Noi veniamo da un tempo in cui abbiamo interpretato la libertà come una nostra proprietà, pensando di poter fare quello che si vuole. La libertà implica sempre la solidarietà e la responsabilità. Questa pandemia ci ha insegnato, spero, che nessuno può salvarsi da solo. Abbiamo avuto comportamenti contro la natura mettendo sempre al centro l’uomo. Il filosofo Martin Heidegger diceva che l’abitare viene prima del costruire e dovremo cominciare a pensare che noi abitiamo questo pianeta e siamo ospiti dei nostri figli e di chi verrà. Credo sia sbagliato pensare che il peggio sia già passato. La ripartenza implicherà un’assunzione di responsabilità non come quella che abbiamo visto in questi giorni in alcune città. Forse in molti hanno vissuto sentimenti di ingiustizia, ma ciò non giustifica un comportamento a volte infantile e indisciplinato. L’ingiustizia va affrontata con proteste e azioni strategiche mirate e coraggiose con l’obiettivo finale di vivere tutti insieme.

La filosofa Simone Weil ci insegna che un nutrimento indispensabile all’anima umana è la libertà. La libertà, nel senso concreto della parola, consiste nella possibilità di scelta. Si tratta, beninteso, di una possibilità reale. Ovunque c’è vita comune, è inevitabile che regole imposte dall’utilità comune limitino la scelta. Ma la libertà non è più o meno grande, a seconda che i limiti siano più o meno ampi. Giunge alla sua pienezza in condizioni meno facili da misurare. Occorre che le regole siano abbastanza ragionevoli e abbastanza semplici perché chiunque lo desideri e disponga di una media facoltà di attenzione possa capire sia l’utilità cui corrispondono, sia la necessità di fatto che le hanno imposte.

Una pandemia che ha scatenato un’emergenza inimmaginabile. Una catastrofe che ha fatto emergere ciò che stava sotto ogni sistema, dal sanitario al sociale e all’economico.. Una cesura epocale che ci costringe a ripensare su come stabilire nuovi sistemi sociali per sostenere la nostra salute psicofisica, come organizzare il lavoro e come strutturare un sistema economico che non diventi disumanizzante.

Quasi tutti abbiamo esposto la scritta “Andrà tutto bene”, io non sono così sicuro e proporrei di sostituirla con “forse non andrà tutto bene ma ce la faremo”.

Ritornare ad una vita semplice e alla vecchia normalità non sarà così semplice, abbiamo bisogno di riorganizzare e di mettere ordine. Come raccomandano i maestri spirituali per “mettere ordine nelle proprie vite”, è essenziale mettere ordine nelle proprie idee sulla vita. Quale vita vogliamo e possiamo vivere? La vita è un immenso oceano che ci contiene, scrive Vito Mancuso, noi ne siamo una piccola goccia, e per questo non potremo mai comprenderla, capirla nel senso di carpirla, come un oggetto qualunque; siamo piuttosto noi ad essere com-presi, capiti nel senso di carpiti, afferrati e sballottati qua e là.

La vita è tanto più umana quanto più è libera, cioè quanto più genera e incrementa la libertà. Il problema dell’essere uomini, consiste nell’esercizio autentico della libertà, sagge parole che troviamo  ne “La vita autentica” di Vito Mancuso.

Martin Heidegger, in Essere e tempo”, descrive l’autenticità come “appropriazione di sé” secondo il significato etimologico dell’aggettivo tedesco per autentico, eigentlich. L’etimologia indica quindi che l’autenticità si raggiunge nella misura in cui ci si appropria di sé: quanto più un uomo è se stesso (autos), tanto più è autentico.

Quindi dobbiamo capire come prenderci cura di queste nostre vite dopo quanto abbiamo sofferto. Possiamo assumere una posizione più attenta alla dimensione relazionale dell’esistenza, allentare il controllo ed essere più coraggiosi a favorire il dialogo piuttosto che rifiutarlo. Il coraggio è una realtà etica, ha le sue radici nell’intera sfera dell’esistenza umana e in definitiva nella struttura stessa dell’essere.

Le parole di una persona eccezionale come Ezio Bosso, che purtroppo da pochi giorni non é più con noi, sono sicuro, potranno aiutarci a …cominciare:

Io li conosco i domani che non arrivano mai
Conosco la stanza stretta
E la luce che manca da cercare dentro

Io li conosco i giorni che passano uguali
Fatti di sonno e dolore e sonno
per dimenticare il dolore

Conosco la paura di quei domani lontani
Che sembra il binocolo non basti

Ma questi giorni sono quelli per ricordare
Le cose belle fatte
Le fortune vissute
I sorrisi scambiati che valgono baci e abbracci

Questi sono i giorni per ricordare
Per correggere e giocare
Sì, giocare a immaginare domani

Perché il domani quello col sole vero arriva
E dovremo immaginarlo migliore
Per costruirlo

Perché domani non dovremo ricostruire
Ma costruire e costruendo sognare

Perché rinascere vuole dire costruire
Insieme uno per uno

Adesso però state a casa pensando a domani

E costruire è bellissimo
Il gioco più bello
Cominciamo…

 

Paolo Cicale è filosofo. Dal 2003 propone  nella Svizzera italiana e in Italia, attività di pratiche filosofiche individuali e di gruppo.

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