Tra paradiso e inferno

Moreno Macchi

Il sigillo del cielo. La Recensione di Moreno Macchi

«Sam aveva la faccia
di uno che vorrebbe
essere inghiottito
dal tappeto»

Glenn Cooper
Il sigillo del cielo (romanzo)
TEA

Chi non è mai stato nel deserto non può certo sapere quanto sia sgradevole e fastidiosa quell’ impalpabile sabbiettina gialla che si infila dappertutto, dalle scarpe all’astuccio degli occhiali e che entra anche nelle tende da accampamento più sofisticate, come quella del professor Hiram Donovan che sta effettuando da diversi anni ormai (ma solo per qualche mese all’anno) degli scavi archeologici nei resti del monastero di Rabban Ormisda, storico avamposto della Chiesa d’Oriente, situato in Iraq. E quella sabbietta è anche l’onnipresente incubo di Najib, l’assistente tuttofare di Donovan che, munito di scopa e paletta (rigorosamente di plastica), spazza senza sosta da mattina a sera combattendo un’inefficace battaglia contro l’infiltrarsi dell’aborrita sabbia nella tenda dell’archeologo.

E come si irrita il professore quando due personaggi a lui totalmente sconosciuti (ma che sembrano conoscerlo molto bene) vengono a trovarlo, parlando di un manufatto di ossidiana perfettamente lavorato e rarissimo che ritengono sia nelle mani del professore (o comunque nascosto nella tenda) mentre lui nega assolutamente (e in pura malafede) di aver rinvenuto negli scavi, mentre l’attento lettore ricorda invece benissimo che lo ha inviato a casa sua in assoluto segreto!

L’ostinato rifiuto di Donovan di riconoscere il fatto gli costerà la vita …

Un salto spazio-temporale ci trasporta a Baghdad trent’anni dopo dove troviamo Najib morente su un letto d’ospedale in compagnia di un prete al quale sta confessando di aver assistito impotente all’omicidio del professor Donovan.

E subito dopo, trasportati a Cambridge, incontriamo Cal Donovan, il figlio dell’archeologo di cui finora abbiamo solo sentito parlare (uno scapestrato irresponsabile molto propenso a litigare col padre facendolo andare su tutte le furie anche al telefono) abile soprattutto con i pugni e gran conoscitore e bevitore di Vodka Martini come James Bond, ma preferibilmente senza Martini.

Lo troviamo qui in piena discussione con Jessica (la fidanzata) naturalmente piuttosto alticcio, e come sempre scontento, arruffato e aggressivo, stavolta per colpa della maglietta rosa (sì, rosa!) che Jessica lo ha obbligato a indossare. Poi, passato il breve litigio, via a giocare a golf! I due sono perfetti rappresentanti dei DINKS americani. DINKS = Double Income, No Kids = doppio introito, niente figli. Ottima intesa finanziaria, stesso ceto, belli e seducenti, con brillanti carriere, stipendi da capogiro e apparentemente felici. Almeno sui campi da golf e alle serate mondane. Poi arriva una brutta notizia. Se il padre di Cal è stato assassinato (come ricordiamo) al capitolo 1, la madre viene strangolata trent’anni dopo al capitolo 5 da un misterioso individuo che ha assai meticolosamente frugato l’appartamento senza però aver (apparentemente) sottratto nulla. Questo almeno secondo Cal, precipitatosi a New York, ivi convocato dalla polizia locale. Nel frattempo, noi abbiamo fatto la conoscenza di Eva, una nota e abile veggente, sempre in stretto contatto con l’aldilà …

Ed è ora giunto il momento di parlare del misterioso manufatto di ossidiana rinvenuto negli scavi dal professor Donovan. Nero, lucido e abbagliante come uno specchio, con sopra incisi segni misteriosi e forse cabalistici che (di nuovo «forse») potrebbe servire a riti magici o divinatori. Forse (ancora!) è per questa ragione che quando Cal lo scova tra le cose di sua madre, senza sapere perché si trovi proprio in una scatola da scarpe, lo trova accompagnato da un biglietto stilato da suo padre con la bellissima calligrafia che lo caratterizzava, con l’indicazione John Dee. Assai probabilmente proprio quel John Dee! E qui interviene il terzo omicidio. Poi un repentino ulteriore balzo temporale che ci porta in Inghilterra, nel 1582 (cioè ai tempi di Maria Tudor e della regina Elisabetta I), a conoscere appunto quel John Dee.

Dee è uno studioso la cui ricchissima biblioteca si estende su più stanze della sua labirintica dimora e dai molti figli che occupano le altre metodicamente aggiunte alla casa in occasione di ogni nascita. Quale sia il ruolo di questo personaggio storico o del suo ospite Mr Talbot non ci sembra d’uopo svelare per non guastare il piacere della scoperta all’arguto lettore, che in questo preciso istante si starà chiedendo: «Ma dove mi sta portando Glenn Cooper? Quante stranezze e quanti misteri dovrò ancora incontrare? In quante epoche e luoghi ci trasporterà? Quanti personaggi introdurrà ancora? Quante pagine dovrò aspettare per capire le connessioni tra i fatti e i personaggi incontrati fin qui?».

Ed ecco dove sta tutta l’abilità dell’autore, che si diverte a scarrozzarci qua e là da un paese all’altro, da un’epoca all’altra con consumata maestria riuscendo a mantenere quell’aura di mistero che a noi tanto piace e che ci fa voltar pagina quasi come sotto ipnosi. O sotto uno strano sortilegio? Tranquilli. Tutto andrà a posto col passar delle pagine, delle ore, dei giorni e dei secoli!

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