Tre buoni motivi per conoscere la lingua italiana

Intervista a Gerry Mottis, scrittore e insegnante di italiano e storia

Di Maria Moreni 

“Fa male notare che i nostri giovani (ma anche molti adulti) non apprezzino e non valorizzino la lingua italiana, che abbiano un lessico ridotto che non riesce più ad esprimere adeguatamente sentimenti, stati d’animo ed emozioni, se non in modo superficiale. Dalla superficialità linguistica, a mio avviso, scaturisce anche una superficialità emotiva e dunque umana”

Ha voluto dare un “volto” e un nome alle molte vittime innocenti del passato, Gerry Mottis, per riscattarne l’immagine. È quello che ha fatto con il suo ultimo romanzo storico, Domenica Matta. Storia di una strega e del suo boia, séguito di Terra bruciata (Gabriele Capelli Editore). Nelle valli alpine, un tempo, erano molto radicate le pratiche rituali pagane legate alla natura. L’Inquisizione e i Tribunali laici hanno mandato a morte donne e uomini innocenti, ma le donne sono state certamente le più colpite, proprio in quanto “femmine”, superstiziosamente ritenute “con minor fede”, considerate sataniche. Esistono molti documenti che raccontano questa realtà drammatica. «È necessario valorizzarli e farli conoscere», spiega Gerry Mottis, docente e scrittore, autore di questo racconto appassionante e profondo.

Come si sviluppa la narrazione?

«Domenica Matta è la storia vera di una presunta strega, accusata nel febbraio del 1616 da una moltitudine di persone di Roveredo, nel Comungrande di Mesolcina (nelle Prealpi dell’attuale Svizzera italiana) di aver partecipato ai “giochi del Berlotto”, cioè al Sabba, dove avrebbe adorato il Diavolo in cambio di poteri sovrannaturali da usare contro le comunità di valle e i compaesani per generare malattie, distruzione e morte. Sulla base di semplici dicerie, originate da morti improvvise e ingiustificate di bambini, persone o animali, la donna fu incarcerata assieme a due complici, torturata e forzata a confessare infanticidi e “malefici” di ogni sorta, che la portarono a una condanna a morte sul patibolo. Come lei, molte altre sfortunate vittime tra la metà del XV e del XVIII secolo furono perseguitate e condannate in nome dell’intolleranza, dell’ingiustizia, dell’arbitrarietà e dell’ignoranza comune.

Gerry Mottis

Quali eventuali collegamenti possono esserci tra l’epoca storica del romanzo e certe dinamiche sociali e il mondo di oggi?
«Compiendo un salto in avanti di quasi tre secoli, mi par di notare che «le streghe siano tornate… », come recita il ritornello, nel senso che il fenomeno della persecuzione dei gruppi minori sia riemerso con forza e abbia destabilizzato i già fragili equilibri sociali determinati senz’altro dalla crisi pandemica che ha colpito tutto il globo (dall’economia ai rapporti umani), generando sospetto nei “diversi”. Come in ogni epoca, la necessità di un «capro espiatorio» contro cui scatenare la rabbia repressa, la propria frustrazione, su cui riversare le colpe per i mali di una società corrotta, si palesano anche oggi. Xenofobia, razzismo, omofobia e femminicidi sono soltanto una parte di questa «rabbia sociale» che emerge con prepotenza e si manifesta anche (o soprattutto) online, sui social media, con sentenze lapidarie, processi sommari, giudizi diretti soltanto sulla base di dicerie, di giudizi di pancia, senza prova o verifica alcuna. La persona vittima di tali sentenze viene così esposta al pubblico scherno, alla “gogna popolare”, e beffeggiata da una massa informe di accusatori che non fanno però parte del potere giudiziario, ma si sentono autorizzati a condannare chicchessia sulla base di una sensazione arbitraria e personalissima. Questo atteggiamento sociale mi preoccupa e dovrebbe davvero farci riflettere…».

Come valuta la condizione attuale femminile, in Svizzera e all’estero?

«La situazione delle donne, soprattutto nel mondo occidentale, è molto migliorata, bisogna pur ammetterlo. Ho tante amiche che hanno affrontato studi universitari e che oggi sono insegnanti, avvocate, giornaliste, dottoresse, scienziate, ecc. Ed è certamente un bene. Ciò non toglie che molto lavoro vi sia ancora da fare, soprattutto per una piena rappresentanza sociale femminile negli ambiti del “potere”, cioè dirigenziali, parlamentari o di governo degli Stati. Questo, a mio avviso, permetterebbe un equilibrio migliore di “forze” e una visione meno competitiva del mondo.

Anche a livello salariale si notano ancora delle differenze tra i generi, e andrebbero appianate al più presto, poiché assolutamente ingiustificate. La situazione nel resto del mondo, ciononostante, resta critica: si nota come vi sia una recrudescenza verso il genere femminile, soprattutto nei regimi autoritari; l’instabilità politica ed economica ha premuto di nuovo in una direzione allarmante: la lotta per le risorse primarie (acqua, cibo, ma anche alfabetizzazione e formazione) genera aggressività, condizione tipicamente maschile. Ribadisco che una maggiore rappresentanza femminile a livello politico e internazionale favorirebbe la ricerca di compromessi e meno scontri, meno emotività; ma forse anche questa è un’illusione, chissà».

Lei è anche insegnante di italiano e storia, oltre che scrittore. Quali valori vuole trasmettere ai suoi studenti attraverso queste materie? Perché l’italiano è una lingua che merita di essere studiata e conosciuta ancora oggi?

«Quest’anno ricorrono le celebrazioni per i 700 anni dalla morte del padre della lingua italiana, Dante Alighieri, un monumento per l’italiano e l’italianità, che accomuna l’Italia con la Svizzera italiana. Dante ci ha indicato il giusto “cammino”, la “retta via”, ci ha insegnato la speranza, la fede, la via verso la salvezza, ma anche la bellezza della lingua italiana. Questa è apprezzata nel mondo anche come lingua di cultura, della musica (soprattutto lirica), della cucina, della moda, ma anche della comunicazione di quei valori che sono un po’ stati smarriti nel mondo occidentale; non dimentichiamo che il Papa, rappresentante della Cristianità, pur essendo non italiano si esprime nella lingua di Dante. I suoi messaggi fanno il giro del mondo e hanno una valenza globale. Fa dunque male notare che i nostri giovani (ma anche molti adulti) non apprezzino e non valorizzino questa lingua, che abbiano un lessico ridotto che non riesce più ad esprimere adeguatamente sentimenti, stati d’animo, emozioni, se non in modo superficiale. Dalla superficialità linguistica, a mio avviso, scaturisce anche una superficialità emotiva e dunque umana, e ciò è un aspetto che noi insegnanti siamo chiamati a fronteggiare, promuovendo il gusto per il bello, ma anche esercitando un pensiero preciso, composto di parole adeguate ai contesti, al fine di evitare pericolosi fraintendimenti che potrebbero comportare, come già capitato anche a livello politico internazionale, conseguenze non trascurabili».

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