Un viaggio a Parigi con Picasso e Modigliani

Nel suo libro “La grande Parigi”, Jacopo Veneziani racconta la rivoluzione artistica nella Belle Époque partendo dall’arrivo alla Ville Lumière del pittore spagnolo e concludendo con la morte nella capitale francese dell’artista italiano

di Amedeo Gasparini

Jacopo Veneziani riporta i suoi lettori indietro di un secolo, nella Parigi d’oro, tra il 1900 e il 1920, nella Belle Époque, in un tour rapsodico nell’arte moderna. 


La grande Parigi (Feltrinelli 2023) non è solo un volume con una bellissima copertina: coinvolge e travolge anche i non esperti affezionati alla Ville Lumière. Parigi sparge fino ai limiti del cielo la semina delle sue innumerevoli case. Un «crogiolo colossale dove i piaceri, i dolori, le forze attive, le febbri dell’ideale ribollono incessantemente e si confondono».

Parigi vive da sempre del suo mito. Ha sempre attratto innumerevoli talenti di tutte le arti.
Veneziani parte dall’arrivo di Pablo Picasso nella capitale e conclude con la morte di Amedeo Modigliani. Nelle loro due vite se ne intrecciano altre. La Torre Eiffel, Montmartre, Le Chat Noir, il post-affaire Dreyfus, la fin de siècle, l’Art nouveau.

Sospesa nell’Europa prima e durante la Grande Guerra, Parigi è stata la capitale dell’estetismo, dell’impressionismo e dell’espressionismo. Veri e propri maghi della pittura rivoluzionarono qui l’arte che oggi ha un valore inestimabile: Georges SeuratPaul SignacEdvard MunchHenri de Toulouse-LautrecVincent Van GoghCamille PissarroClaude MonetAuguste RenoirEdgar DegasEnri MatissePaul CézanneAlfred SisleyGeorges BraquePedro Mañach.

Ma ci sono anche molte donne che colorano la Parigi d’oro: Berthe WeillSuzanne ValadonJacqueline MarvalÉmilie CharmyMarie LaurencinHermine DavidAlice Halicka e Valentine Henriette Prax. Tutti destini che si intrecciano con Parigi.

Tutte le nuove visioni dell’arte sembravano però cristallizzate. In compagnia del suo amico Carlos Casagemas, Picasso metabolizzava tutte le novità con cui veniva a contatto. Il libro presenta illustrate molte opere del primo Picasso, anch’egli influenzato dalla Parigi d’oro.

Probabilmente l’ha detta giusta Saul Bellow: «Parigi è la sede di un’umanità altamente sviluppata», scrisse, «e così si è testimoni di forme altamente sviluppate di sofferenza». Veneziani prende per mano il lettore tra le colline e i mulini di Montmartre. Dove i cabaret (come il Lapin Agile) sono bordelli; dove le case degli artisti squattrinati sono atelier della creazione senza tempo.

Parigi d’oro è tale per la leggenda della Montmartre bohémienne, dove soffiava il vento di libertà rivoluzionaria che attraeva stranieri di ogni genere che fondavano lì in qualche bar un movimento d’avanguardia – dall’Espressionismo al Fauvismo.

A Parigi arrivò anche Modigliani, il protagonista della seconda parte del volume di Veneziani. L’artista livornese s’incontrò con la poetessa Anna Achmatova, di cui si innamorò – lei portò, al suo ritorno in Russia, sedici ritratti a matita del pittore italiano.

A Parigi anche i grandi scultori dell’epoca: Maurice-Edme DrouardConstantin BrâncușiGaston Coustillier e Maurice Guiraud-Rivière. Qualche capitoletto sull’Italia e i grandi artisti del tempo, che fondevano scultura con letteratura, poesia e scrittura. Erano Gino SeveriniUmberto BoccioniCarlo CarràGiacomo Balla e, ovviamente, Filippo Tommaso Marinetti.

Come ha ricordato Fernande Olivier (Picasso e i suoi amici): «Si parlava, felici, tutto diventava più bello, più nobile: amavamo l’umanità intera, alla luce saggiamente attenuata della grossa lampada a petrolio, sola illuminazione di cui era dotata la casa. Qualche volta, quando la lampada […] si spegneva, solo la piccola lampada utilizzata per l’oppio illuminava di bagliori furtivi qualche volto stanco … Le notti trascorrevano in un’intimità tiepida, forte e priva di ogni desiderio sospetto. Si parlava di pittura, di letteratura, nella totale lucidità della mente, con un’intelligenza acuita. L’amicizia si faceva più salda, più tenera, più indulgente».

A mettere fine al decadente paradiso artistico parigino fu la Prima Guerra Mondiale. Nel frattempo, la salute di Modigliani, già compromessa dalla debolezza fisica, andava peggiorando. Il freddo, la privazione, il vino, l’assenzio, l’hashish e la cocaina avevano contribuito ad aggravare le sue condizioni. Il fatto di respirare polvere durante il processo di scultura della pietra non migliorava la situazione, come sottolinea Veneziani.

Modigliani morì alle otto di sera del 24 gennaio 1920. Cambiò l’arte, cambiò l’epoca. Cambiò anche la Parigi d’oro. Lentamente, Montmartre venne infatti surclassata da Montparnasse, come aveva predetto Guillaume Apollinaire.

A Montparnasse furono aperti luoghi di ritrovo che attirarono sempre più artisti nel quartiere: accademie libere dove imparare nuovi approcci artistici, associazioni con i loro balli e caffè con terrazze leggendarie. Molti ebrei dall’Europa orientale si trasferirono qui, tra cui lo stesso Modigliani, di famiglia sefardita.

Montparnasse al tempo, a detta di Marcel Duchamp, fu «la prima scuola artistica veramente internazionale […] superiore, per il suo internazionalismo, a Montmartre, al Greenwich Village o a Chelsea».

Rimangono oggi attuali le valutazioni di Apollinaire (I pittori cubisti, 1913), che chiudono il volume. «I grandi poeti e […] artisti hanno la missione sociale di rinnovare senza posa le sembianze che la natura riveste agli occhi degli uomini. Senza i poeti, senza gli artisti gli uomini si annoierebbero presto […]. L’idea sublime che hanno dell’universo ricadrebbe con una rapidità vertiginosa. L’ordine che appare nella natura, e che è solo un effetto dell’arte, svanirebbe subito. Tutto si disferebbe nel caos. Non vi sarebbero più stagioni, né civiltà, né pensiero, né umanità e neppure vita e l’impotente oscurità regnerebbe per sempre. I poeti e gli artisti determinano concordi il carattere della loro epoca e docilmente l’avvenire si conforma alla loro idea».

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