Guerra, il più grande fallimento umano

Oriana Fallaci, Insciallah (romanzo), Rizzoli. La Recensione di Moreno Macchi

Moreno Macchi

«Aveva quindici anni, a sparare si sentiva un uomo,
e non glielo spiegava nessuno che meno si spara più uomini si è»

«La gente crede che l’esercito invecchi. Al contrario.
L’esercito restituisce all’infanzia, cristallizza l’infanzia,
la blocca nel modo in cui i floricultori bloccano
la crescita delle piante che, compresse nelle radici
e potate del loro fogliame, diventano alberi nani:
bonsai. Il tuo intelletto al posto delle radici compresse,
la tua maturità al posto del fogliame potato»

Anni Ottanta, guerra civile in Libano; una guerra in cui è coinvolto anche un contingente italiano di cui fanno parte i principali protagonisti del racconto: Martino, Fifì, il Condor, Cavallo Pazzo, Charlie, Gallo Cedrone, Sandokan, Gaspare, Ugo, Zucchero, e perfino il Professore, che redige lunghe lettere che progetta di inviare a un’immaginaria moglie, lettere che in realtà scrive «a sé stesso per costruire nella sua mente il romanzo che stiamo leggendo» (una «piccola Iliade», come la definisce lui), e che creano una sorta di spezzettata mise en abyme

Di tutti questi personaggi e di molti altri scopriremo poi – pagina dopo pagina – pensieri, storie, difetti, paure, amori, qualità, legami, speranze, ideali, aspettative, desideri, passioni, interessi, scopi e psicologia.

Sono le cinque del mattino e Angelo (fotoreporter di guerra) non riesce a dormire per colpa dei galli impazziti di Beirut che – turbati dal continuo esplodere di bombe e mortai – non sanno più distinguere il giorno dalla notte.

I suoi pensieri si accavallano, le incertezze si accumulano nella sua mente, le domande si agitano nel cervello e le risposte non sembrano volersi presentare al suo pur assai matematicamente strutturato intelletto.

E poi c’è quella ragazza che gli fa una corte spietata, che vorrebbe ad ogni costo sedurlo e portarselo in camera (eufemismo), e che gli porge in regalo ogni domenica un pacchettino di prelibati dolci che lui dapprima rifiuta e poi finisce per accettare …

Ma in guerra i pensieri personali non hanno il tempo di cristallizzarsi nella testa, anche perché un primo e poi un secondo boato scuotono la terra e distruggono prima il Comando americano poi quello francese.

Angelo, incurante degli ordini di Charlie, il suo capitano, salta su una campagnola (una specie di jeep fabbricata dalla FIAT) per recarsi sui luoghi degli impatti con la sua fedele Nikon.

E lo spettacolo che lo attende sia nel campo americano che in quello francese più che desolante è funebre, macabro e raccapricciante ed è tratteggiato dalla Fallaci con abbondanza di particolari che sfiorano l’efferatezza.

Angelo, come ipnotizzato, non riesce a scattare nemmeno una fotografia, provocando – al suo ritorno – il grande disappunto di Charlie, che va su tutte le furie.

Gli attacchi previsti però erano tre, ma quello destinato al Comando italiano non è avvenuto. Il perché non è dato sapere, ma il camion zeppo di esplosivo di certo da qualche parte sarà, pronto a un prossimo intervento.

Una cosa colpisce il lettore fin dalle prime pagine: la guerra è ovviamente un’attività tremenda, insensata, incomprensibile, spesso perfino inspiegabile.

Come fa l’essere umano a comportarsi in quel modo? E, soprattutto, come fa a ripetere costantemente l’orrore dei conflitti, l’assurdità delle bombe, la crudeltà degli agguati, l’incomprensibile gesto dei kamikaze, la sete del potere ad ogni costo, la follia delle armi sempre più perfezionate (leggi letali, distruttive, micidiali), la fatalità degli attacchi?

Come si fa a continuare anche oggi a voler respirare l’odore della polvere da sparo, il lezzo del sangue sparso, il fetore dei cadaveri, a sentire in bocca il sapore della cenere e delle lacrime?

Come si può ancora voler seminare stragi e morte, uccidere soldati e civili, donne e bambini? Come si può riuscire a dormire davanti allo spettacolo di tanta desolazione e di tanto dolore?

E pensare che Beirut era una città così gradevole nel 1946!

E pensare che veniva definita «la piccola svizzera» tanto era piacevole viverci!

La conoscenza dell’ambito bellico della Fallaci si rivela nella precisa e dettagliata descrizione della guerra e delle sue battaglie con grande dovizia di particolari su armi, bombe, attentati, strategie; spiega inoltre la sua grande capacità nell’esporre, rappresentare (e ovviamente criticare tutt’altro che velatamente) l’orrore dei conflitti, qualsiasi essi siano, nel saper analizzare i movimenti dell’anima dei personaggi, le loro paure, i difetti, le angosce, i dubbi, le estreme decisioni, i tentennamenti, i casi di coscienza, l’insonnia, i precisi timori, gli incubi, e nel penetrare nell’intimo della loro psiche per cercare di interpretare e/o spiegare le loro a volte terribili, difficili scelte.

Una narrazione coinvolgente, punteggiata da dialoghi assai dinamici nonché da discorsi indiretti liberi molto coloriti caratterizzati da tutte le espressioni idiomatiche del personaggio che le pronuncia, magari nella sua lingua natale o preferita (vedi nota qui sotto), un ritmo incalzante, un vocabolario ricco e variegato e una storia appassionante contraddistinguono questo imponente volume che si divora con grande interesse letterario, umano e storico.

N.B.: Insciallah (pubblicato per la prima volta nel 1990) ha l’eleganza di tradurre in italiano, le numerosissime frasi pronunciate dai protagonisti in latino, francese, inglese, tedesco, arabo e perfino nei molteplici dialetti della penisola. Purtroppo, questa consuetudine, col passar del tempo, si è persa nelle occulte stanze dell’edizione, quasi fossimo diventati tutti poliglotti, visto che ormai praticamente nessuno si degna più di tradurre (almeno in nota) le frasi in lingua straniera introdotte dagli autori nei loro testi …

Oriana Fallaci,
Insciallah (romanzo),
Rizzoli

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