“Panic in Detroit”

Babysitter. La Recensione di Moreno Macchi

Moreno Macchi

«Non deve sembrare
che lo stia supplicando.
Se supplichi un uomo hai già perso»

«- Non sorridere mai quando ti fotografano.
– Perché?
– Perché la fotografia ti sopravviverà
e sembrerai un povero idiota
con quel sorrisetto
quando sarai morto»

Joyce Carol Oates
Babysitter (romanzo)
La Nave di Teseo

Ebbene sì, l’immensa, spietata, meravigliosa ultraottantenne Signora della letteratura americana (classe 1938!) torna a colpire!

Babysitter, il suo ultimo opus (uscito negli States nel 2022) sbarca ora in Italia per la casa editrice La nave di Teseo.

Joyce Carol Oates ci è nota per la sua straordinaria bravura nel partire da fatti più o meno conosciuti e più o meno scabrosi di cronaca più o meno nera (esempio eclatante ne è il suo eccezionale Blonde, incentrato sulla vita e la carriera di Marilyn Monroe) per poi imbastire romanzi di grandissima qualità.

Altra sua peculiarità è quella di saper utilizzare con grandissima maestria il monologo interiore, con il quale si destreggia fin dall’inizio di Babysitter, pur utilizzando la tecnica del narratore anonimo che sembra penetrare dentro la testa della protagonista e della quale insegue riflessioni, ricordi, tortuosi pensieri, esitazioni, improvvise (e magari discutibili) decisioni, andirivieni di avvenimenti passati e presenti, passioni, dubbi, incertezze, angosce, paure e tentennamenti.

Di tutti gli avvenimenti avremo quindi unicamente il punto di vista dell’eroina del romanzo, che logicamente dovremmo considerare come assolutamente sincero ma che a volte sembra passare attraverso uno specchio deformante …

Venerdì Santo 1977, Detroit, Michigan.

Hannah Jarret, trucco perfetto e costosissimo (eseguito ad arte con prodotti esclusivamente creati e commercializzati da stilisti noti e prestigiosi), in sempre precario equilibrio sui vertiginosi tacchi a spillo delle sue scarpe Yves Saint Laurent, camicetta in seta rosa pallido con bottoni di madreperla (Dior? Gucci? Hermès?), pantaloni di lana leggera firmati Neiman Marcus, ammantata nel suo impalpabile cappotto di morbido, voluttuoso cachemire con collo di visone (di marca non precisata) e con la sua elegante (ma un po’ troppo rigida) borsa Prada di pelle lucida, attraversa (con apparente sicurezza e grande, ricercata dignità) la lussuosissima hall dell’altissimo, sfavillante, esclusivissimo Renaissance Grand Hotel della città, dove sta per raggiungere (ascensore di vetro velocissimo tipo capsula spaziale) il sesto piano, la camera 6183 e quell’uomo così seducente / affascinante / ammaliante, dalla voce sensualmente profonda, e designato dalle sole (misteriose, intriganti, quasi impenetrabili) iniziali Y.K. che l’ha profondamente turbata durante una certa serata più che mondana di due settimane prima, dedicata alla raccolta fondi per chissà che opera virtuosa e che aveva riunito tutta la «Detroit che conta» (cioè quella che detiene soldi, arroganza e potere), toccandole semplicemente il polso con due dita e rivolgendole pochissime, ma essenziali parole con voce da cobra incantatore (se i cobra sapessero parlare!).

Tra cui la sussurrata, ardita, improbabile, pericolosa proposta di un possibile e assai allettante(?) tentatore(?) appuntamento in una camera d’albergo, proprio in quello sfavillante Renaissance Grand Hotel in cui si svolge la serata, il più sontuoso (e naturalmente più dispendioso) di tutta Detroit, nel quale l’uomo ha l’abitudine di soggiornare durante le sue visite-lampo nella città – ovviamente in una sfarzosissima suite – soprattutto perché fornito di comodissimo eliporto).

Lo sappiamo, c’è chi può.

Hannah sogna l’incontro romantico, forse l’avventura da tenere segreta, quel momento magico di intesa tra due esseri umani che ormai da tempo non ha più col noioso marito Wess. Quell’uomo visto una sola volta (e assai probabilmente da lei idealizzato) potrebbe, forse, concretizzare il suo sogno nascosto di amicizia, di affetto, o di qualcosa in più se…
Ma attenzione! Lei non sarà certo disposta a cedere facilmente.

Il bailamme di tumultuosi pensieri continua ad agitarsi freneticamente nell’animo di Hannah fin sulla soglia della fatidica camera 6183, che però ha appeso al pomello centrale della porta il noto, esplicito, eloquente NON DISTURBARE.

Che sia una specie di monito? Un segno del destino sempre interessato alle sorti umane? L’ultimo segnale di attenzione? Un’incitazione alla prudenza? Quel semaforo rosso che dovrebbe farle cambiare idea?

Ancora un breve attimo di esitazione e poi il dito di Hannah, quasi seguendo un impulso o un automatismo, si alza verso il lucido campanello e vi si appoggia. La porta si apre immediatamente.

Lui c’è.

Così, è con notevole ritardo che la donna fa ritorno a casa.

E se nel frattempo Babysitter, il famigerato rapitore e assassino di bambini che circola per Detroit commettendo impunemente i suoi misfatti fosse passato da casa sua? Se avesse distratto Ismelda (la governante filippina) e sequestrato Katya e Conor, i suoi due meravigliosi figli? Sarebbe magari stata la degna punizione per la sua scappatella? Per il suo clandestino incontro con Y.K.? E perché non si sente infelice o colpevole?

Ma soprattutto … chi è Babysitter?

Su questi interrogativi noi chiudiamo lasciandovi intatto il piacere della scoperta, visto che di sorprese il romanzo ne ha davvero in serbo parecchie!

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