Smart Mobility: nuove sfide per un futuro intelligente

di Simona Bonardi

Il passaggio dai telefoni di vecchia generazione agli smart phone ha segnato una svolta nel modo di vivere il quotidiano. Come raggiungere un luogo, per esempio, dalla pianificazione del viaggio alla verifica del percorso, che un tempo avrebbe richiesto diversi giorni di telefonate e ricerca, si è trasformato in un’azione semplice, che, in pochi “tocchi” sul proprio telefono, ci conferma costi, durata e rischi del viaggio (traffico, manifestazioni, lavori in corso, etc.). Così come è cambiato il modo di usufruire di un servizio, è cambiata la quantità e il tipo di servizi offerti dalle aziende, molte delle quali hanno sostituito i propri negozi con la sola presenza virtuale, online.

L’ambiente, a sua volta, ha modificato, in risposta a fattori quali traffico e qualità dell’aria, il modo di vivere le città; attraverso gli allarmanti sintomi del cambiamento climatico globale, inoltre, richiede, e in modo sempre più insistente, una revisione drastica del nostro modo di esistere. Secondo una relazione dell’Agenzia Europea dell’Ambiente del marzo 2020, i trasporti consumano un terzo di tutta l’energia finale nell’UE; un enorme ostacolo, dunque, alla realizzazione degli obiettivi in materia di protezione del clima.

La mobilità intelligente, in inglese Smart Mobility, è figlia di entrambe queste premesse.

Una caratteristica fondamentale di questo nuovo modello di mobilità riguarda il paradigma sottostante: la proprietà privata del veicolo (a due o quattro ruote) viene progressivamente sostituita dalla disponibilità condivisa del mezzo: tramite noleggio o abbonamento, tra privati o grazie ad aziende. Un esempio è dato dallo sharing (condivisione) che offre una “flotta” di veicoli a basso consumo energetico e a tecnologia “pulita” attraverso un abbonamento. Si tratta di un servizio diverso dal taxi o dall’autonoleggio tradizionale (occasionali, di solito legati a una vacanza o a viaggi di lavoro): diversi la missione e gli obiettivi delle aziende, diverso il tipo di cliente-utente (nel caso dello sharing: pendolare, libero professionista, cliente settimanale di un supermercato), diverse le sfide da entrambi i lati.

Nell’avere reso ufficiale un elenco di “preoccupazioni” universali (persone e ambiente), i 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile contenuti nell’Agenda 2030 UN hanno gettato le basi per un investimento condiviso da parte di governi, amministrazioni locali e aziende nella ridefinizione del nostro modo di abitare, lavorare, spostarci. In particolare, i servizi di Smart Mobility hanno un ambizioso traguardo: offrire soluzioni di mobilità accessibili (più economiche, dunque, della proprietà di un veicolo privato) e affidabili (disponibili quando servono) che migliorino la vivibilità delle aree urbane attraverso una riduzione dei consumi, dell’inquinamento dell’aria, del traffico. Il numero e il tipo di veicoli in ciascuna città, quindi, varia nel tempo con il variare della domanda e del fabbisogno effettivo; la rimozione delle barriere architettoniche e degli ostacoli alla viabilità diventa problema e responsabilità della necessaria collaborazione e negoziazione continuativa tra aziende e amministrazioni locali. 

Secondo la relazione UN 2020 sugli Obiettivi di Sostenibilità, le soluzioni di Smart Mobility promuovono produttività e inclusione sociale. Inoltre, l’emergenza COVID e le inerenti norme di distanziamento sociale hanno mostrato che, per percorsi medio-brevi (1-60 km, secondo uno studio del 2019 dell’Università di Scienze Applicate di Zurigo), questo nuovo modello di mobilità costituisce la sola alternativa scalabile e sostenibile al trasporto pubblico.

A patto che esista un dialogo trasparente tra aziende e amministrazioni locali per la garanzia della vivibilità urbana a tutela e vantaggio di tutti, questa modifica radicale al modo di spostarsi sembra mantenere la promessa di città più produttive e più inclusive. Tuttavia, insidie si nascondono laddove l’interesse particolare prevalga sul pubblico. Nel tentativo di limitare il più possibile i tratti a piedi negli interscambi o a destinazione, per esempio, le aziende offrono la possibilità di abbandonare i veicoli a due ruote senza restrizione di luogo e posizione, così creando minacce a viabilità, sicurezza, accessibilità.

Anni fa, in un’antica puntata del Maurizio Costanzo Show, venni a conoscenza dell’installazione (allora temporanea) Dialogo nel Buio. Il percorso, organizzato al Palazzo Reale di Milano, prevedeva un cammino in totale assenza di luce affidandosi alla sola voce di una guida non-vedente. Imparai che la cecità richiede, tanto nel privato quanto nel pubblico, l’affidabilità dell’ambiente: una bicicletta legata al semaforo o gli escrementi di un cane sul marciapiede – piccoli fastidî in assenza di disabilità – costituiscono ostacoli insormontabili e serie minacce alla sicurezza per individui che condividano il proprio quotidiano con limiti fisici e sensoriali.

Proprio come lo smart phone dovrebbe aiutare a vivere il quotidiano senza promuovere pigrizia e stupidità, la Smart Mobility ha la missione di offrire soluzioni nuove a note esigenze di mobilità privata senza dimenticare la nostra appartenenza a una collettività, che è a sua volta, anche se indirettamente, “cliente”. Diversamente, il rischio è quello di perdere la caratteristica Smart, intelligente, promessa dall’innovazione.

Accanto alle responsabilità individuali di cittadino e consumatore, quindi, emergono l’esigenza di promuovere una cultura rivolta alla condivisione responsabile dei beni mobili come degli spazi comuni, e la necessità di definire standard di servizio a livello comunitario: standard che estendano la misura di valore ed efficienza a variabili collettive, universali, in linea con l’Agenda comune.

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