Moda, successi italiani da Parigi a Roma

Le giornate della Haute Couture, a Parigi, hanno fatto registrare ancora una volta il successo di “griffes” italiane. Creata per un pubblico di “IV” – International Vip -, dedicata ai prossimi autunno-inverno, ha portato con sé una parte di magia, oltre che di bellezza.

Cosa posso dire, infatti, degli abiti stupendi – tutti lunghi – con le gonne alla caviglia, multistrati, amplissime, da principessa al ballo al castello (dell’800) di Giambattista Valli, o del “glamour” tutto italiano di Antonio Grimaldi? E delle cappe in nero, oltre ad alcuni tocchi di arancio, lunghe, per quello che è stato definito “Messico esoterico” di Maurizio Galante?

Pierpaolo Piccioli, per Valentino, si è sbizzarrito fra gonne a strati di tulle, abiti di taffetà e chiffon a rouches, mantelle di seta, fiocchi, stampe a colori quali i gialli paglia e girasole, viola, rosa carico. Una menzione speciale si merita Luisa Beccaria che, con la figlia Lucrezia, nel bellissimo settecentesco Hotel de Gesvres, ha presentato una collezione incantevole con lunghi abiti a strati di tulle, crinoline, ricami, le “sue” tinte delicate, soffuse, anche accostate fra loro, in un gioco straordinario di leggerezza e perché no? – romanticismo.

Poi…poi ecco lui, “Monsieur Armanì”, con la sua “Privée”. Sono d’obbligo i superlativi che – come gli applausi a scena aperta, e le ovazioni –  hanno sottolineato ancora una volta l’eccezionalità della sfilata che, al Petit Palais, ha fatto immaginare un autunno-inverno luminosi, in toni delicati come il rosa cipria, il verde giada, l’azzurro polvere, anche se non sono mancati tocchi di bianco, ed il nero:  per sete, tulle, organze profilate di cristalli, sia delle straordinarie giacche con pantaloni o gonne sottili, quanto per abiti non soltanto da tappeto rosso o grandi prime teatrali, ma da palazzi di emiri, sceicchi, sultani. Ancora sogno, e realtà… Chapeau, Monsieur Armanì! Ovvero, ancora un bravo a tutto tondo, grandissimo Giorgio.

Non posso, peraltro, trascurare un altro nome, sia pur francese: Dior, la cui collezione, oggi, pur essendo di proprietà della LVMH (Louis Vuitton. Moet Chandon. Hennesy) è creata da Maria-Grazia Chiuri (romana, prima donna ad averne “le redini creative”, fresca nientemeno che di “Legion d’onore”; e presidente e CEO di Dior è Pietro Beccari, di Parma). Chiuri che, nella storica sede di Avenue Montaigne, con una spettacolare scenografia, ha presentato pepli bianchi drappeggiati, e con scritte femministe, gran sera in nero, calze a rete ricamate, lunghe cappe anche accompagnate da velo sul capo.

Da Parigi – come da anni detta il calendario rassegne – si è corsi a Roma dove, all’insegna della sostenibilità e dell’ecologia, per quattro giorni, 100 designers internazionali e 400 studenti delle Accademie di moda e costume, si sono alternati su varie passerelle. Inoltre, grazie a Fendi si è avuta una serata degna di quanto ha rappresentato Roma con la grandissima alta moda, riportandola al fascino e all’importanza dei tempi della “Hollywood sul Tevere”. Nel ricordo di Karl Lagerfeld, Fendi ha fatto sfilare nell’incanto serale del Colle Palatino 54 capolavori (uno per ogni anno trascorso da Karl con la grande famiglia romana). Una cornice eccezionale, che nel più centrale dei Sette Colli, ha accolto 500 ospiti, fra cui Susan Sarandon, Catherine Zeta Jones, il presidente di LVMH Bernard Arnault, che hanno applaudito calorosamente le lavorazioni fantastiche sia degli abiti, sia delle pellicce, ora tutte eco, in materiali sostenibili. Una ricerca ed un’abilità artigianale incredibili, realizzabili soltanto in Italia, per Fendi, con la direzione – eredità di famiglia ed insegnamenti di Karl – di Silvia Venturini Fendi. Una sfilata cui si è aggiunta la notizia che, nel nome di Fendi, verrà restaurato il tempio di Venere (stanziando 2,5 milioni di euro); e ricordiamo che a Fendi si deve anche il restauro della Fontana di Trevi e del Palazzo delle Civiltà. Ben venga questa moda, in tutte le possibili accezioni del termine.

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