Cibo sintetico: l’Italia non vuole la carne coltivata. I pareri favorevoli e quelli contrari

È il primo Paese in Europa a introdurre questo divieto. Ma il dibattito resta aperto: c’è chi ricorda il grande tesoro che è la dieta mediterranea e insiste sul rispetto dei cicli della natura e chi, invece, punta su incremento dell’occupazione e su maggiori controlli della qualità dei prodotti

Dopo un dibattito animato durato diverse settimane, di recente, al Parlamento italiano, è stato approvato il disegno di legge che vieta la produzione e la commercializzazione della carne coltivata nello Stivale. Le sanzioni previste per ogni trasgressione possono costare dai 10 mila euro ai 60 mila euro. 

Contestualmente, nell’ambito della nuova normativa presentata dal ministro italiano dell’Agricoltura e della Sovranità alimentare, Francesco Lollobrigida, sono state introdotte nuove restrizioni alle denominazioni dei prodotti a base vegetale.

Sarà pertanto vietato usare termini che ricordano la carne tradizionale, di origine animale, come ‘bistecca’, ‘burger’, ‘prosciutto’, ‘salame’, ‘salsiccia’. Ha riferito Coldiretti, la maggiore associazione degli imprenditori agricoli italiani ed europei: “La violazione del divieto risulta sanzionata sul piano amministrativo anche con la confisca del prodotto e il divieto di accesso a contributi pubblici fino a prevedere la chiusura dello stabilimento”.

L’Italia risulta il primo Paese europeo a prendere simili decisioni. In un’intervista rilasciata al ‘Secolo d’Italia’ ha dichiarato Orazio Schillaci, ministro italiano della Salute: “La carne coltivata, o quello che viene definito cibo sintetico, a oggi non ha una storia alimentare né evidenze scientifiche riguardo all’impatto sulla salute. È nostro dovere assicurare la massima trasparenza e informazione ai cittadini e soprattutto promuovere un modello alimentare che resti ancorato alla nostra dieta tradizionale”.

Ha aggiunto Schillaci: “Troppo spesso dimentichiamo che gli italiani hanno la fortuna di disporre di tutti i nutrienti della dieta mediterranea. Eppure solo una parte minoritaria della popolazione adotta questo modello alimentare che ha un impatto positivo sulla salute”.

Ha concluso il ministro tricolore della Salute: “Seguire la dieta mediterranea ha anche ricadute positive sull’ambiente perché correlata all’uso di materie prime legate al territorio, provenienti da coltivazioni e colture a basso impatto, basate sul rispetto dei cicli della natura. In questo modo, si riduce l’impronta ambientale dei sistemi alimentari e si contribuisce a salvaguardare la biodiversità vegetale e animale. Una sostenibilità ambientale, dunque, ma anche economica”.

Sul versante opposto, i sostenitori della carne coltivata – per esempio, quelli nelle file del partito +Europa – sottolineano che prodotti del genere possono essere più salubri e controllati rispetto a quelli tradizionali di derivazione animale. E permetterebbero di ridurre gli allevamenti intensivi con conseguente risparmio di emissioni, consumo di acqua, suolo ed energia.

I dati disponibili al riguardo, tuttavia, sono contrastanti. Per esempio, da una recente ricerca dell’Università della California emerge che la produzione di un chilo di carne coltivata potrebbe liberare nell’ambiente una quantità di anidride carbonica superiore da 4 a 25 volte alle emissioni della produzione tradizionale e, rispetto a quest’ultima, sarebbe più energivora.

Nel mondo sono quasi 200 le imprese e le startup impegnate nella ricerca sui cibi coltivati. Secondo alcune stime, nel 2030 il mercato corrispondente potrebbe valere dai 5 ai 25 miliardi di dollari creando più occupazione. Solo nel Regno Unito, per esempio, sarebbero previsti da 9.000 a quasi 17.000 impieghi in più rispetto a quelli attuali nei settori interessati.

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